“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociali e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Sarà un caso, ma tale primo comma del terzo articolo della nostra Costituzione, non inserisce nessuna distinzione fra colti e ignoranti, per cui si potrebbe presumere che la differenza vi sia proprio per l’omissione citata.
Seguendo il filo del ragionamento potremmo aggiungere che nei ruoli istituzionali di alto profilo dovrebbe anche essere marcata la differenza fra colti e ignoranti. Per cui, se il Parlamento approvasse una legge secondo la quale, pur rispettando l’ordine democratico, nessun parlamentare può essere eletto se non possiede le sufficienti doti culturali e di conoscenza, nessuno potrebbe obiettare una violazione del succitato articolo tre.
La questione si potrebbe estendere a tanti altri consessi politici e istituzionali, come Regioni, Province e Comuni, ma anche a incarichi in organismi paraistituzionali.
Non sembri assurdo, ma vogliamo rispettosamente e timidamente osservare che la questione posta si potrebbe anche estendere a elettori ed elettrici. Non è infatti equo mettere sullo stesso piano cittadine e cittadini che non hanno mai letto un libro – perché magari non hanno frequentato la scuola o ivi siano stati bocciati ripetutamente – e quindi non sono in condizione di valutare le questioni di interesse generale.
Bisognerebbe, però, in primo luogo far aumentare la cultura di tutti i cittadini, in modo da ridurre il gap culturale presente nel popolo italiano.
Il secondo comma del citato articolo tre dice: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”. Anche in questo caso la Costituzione non fa alcun riferimento alla cultura e all’ignoranza, ma solo agli ostacoli economici e sociali, quindi non prevede la rimozione del buio nel quale sono immersi milioni di cittadini perché non sanno.
La questione che poniamo non sembri secondaria, perché mancando la prescrizione precisa su cultura e ignoranza, di fatto lo Stato non adotta i necessari rimedi per combattere l’ignoranza di tanti cittadini, che non capiscono quello che accade e, per conseguenza, non se ne interessano e, dunque, non vanno a votare o, forse peggio, votano con la testa degli altri.
Milioni di persone non leggono i giornali e i libri di carta e quindi rimangono nel loro stato di ignoranza e nella conseguente incapacità di valutare i fatti, nonché i comportamenti dei rappresentanti istituzionali.
La grave situazione del nostro Paese non è migliorata dall’informazione, perché quella che fanno i siti non si può considerare tale e l’altra, esplicata dai quotidiani online, spesso non è sufficiente per qualità e quantità.
Ricordiamo che l’informazione dovrebbe ricercare la verità e trovare le connessioni fra i fatti; dovrebbe anche garantire una gerarchia delle notizie, interpretare i fatti e non immaginarli.
L’informazione viene fatta da tanti soggetti, ma la categoria principale è quella dei giornalisti. Il giornalista dovrebbe essere un filologo, un ragionatore neutro, capace di cogliere il significato anche degli indizi, mettendoli a confronto; dovrebbe evitare di farsi coinvolgere emotivamente o – peggio – economicamente da fatti e circostanze, che dovrebbe tenere distanti da sé; mai e poi mai dovrebbe prendere parte o diventare parte in causa, in modo da essere sempre in condizione di tentare di esporre i fatti con obiettività e completezza, mantenendo i due piatti della bilancia in equilibrio.
Ribadiamo che la disuguaglianza e l’ignoranza sono i due più gravi problemi del nostro Popolo, a prova di smentita. Non abbiamo visto azioni dei Governi degli ultimi trent’anni volti a lottare questi due gravissimi fardelli, se non provvedimenti che possono essere considerati pannicelli caldi.
C’è da augurarsi che i due problemi citati vengano capiti ed affrontati.

