Il capitale, da strumento a fine - QdS

Il capitale, da strumento a fine

Il capitale, da strumento a fine

mercoledì 12 Luglio 2023

L’evoluzione tecnologica ed economica porta rapidamente a una nuova situazione

A metà del Settecento Federico il Grande dichiarava: «Non è affatto mia intenzione che il filatoio meccanico diventi universale […] Altrimenti una grande quantità di uomini che fino ad ora hanno vissuto di questo mestiere perderebbe il pane e questo non è ammissibile».
Federico esprime il pensiero della classe dirigente del tempo. Nel giro di cento anni tutto ciò verrà spazzato via. L’evoluzione tecnologica ed economica porta rapidamente a una nuova situazione che Sombart sintetizza magistralmente nelle seguenti parole: «Nell’epoca del paleocapitalismo l’imprenditore fa il capitalismo, mentre in quella dell’ultracapitalismo è il capitalismo che fa l’imprenditore».

Ed è in questo nuovo mondo caratterizzato da un dinamismo economico, sociale e produttivo mai sperimentato prima che il capitale da strumento diventa fine, mentre accanto all’imprenditore-costruttore tradizionale – tra i quali rientrano, senza dubbio, personaggi come Edison e Ford – emerge una nuova figura il cui interesse non è di costruire o innovare, ma di cogliere opportunità per aumentare il proprio capitale e il proprio potere.
La sua specialità è manovrare il capitale, quello proprio e quello d’altri, spremere capitale da dove sembra non esserci, unire e spaccare imprese, formare grandi imprese fondendo tante imprese minori, manipolare (nel senso oggettivo del termine) uomini, cose, denari, aziende.

I creatori dei grandi trust non sono imprenditori-costruttori. Sono uomini d’affari. I loro antenati non sono i Datini, i Cotrugli. I loro antenati sono i pirati o forse, ancor meglio, i condottieri di ventura del Quattrocento italiano che grazie al loro coraggio, al loro valore nelle armi, alla loro spregiudicatezza diventarono padroni delle città e fondatori di principati.

L’antica figura dell’imprenditore-costruttore, con la sua visione concentrata sull’impresa e la sua etica del «bene vivere» – che, come ho mostrato, viene da tanto lontano – non sparisce, se è vero che un grande imprenditore tedesco come Rathenau, fondatore della Aeg (Allgemeine Elektricitäts-Gesellschaft), nel 1908, scriveva «non ho mai conosciuto un imprenditore per il quale lo scopo principale della sua professione sia il guadagno e vorrei affermare che chiunque è attaccato al guadagno personale non può assolutamente essere un buon imprenditore». Albertano da Brescia concorda.

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