Francesco Maria Piave, librettista di Giuseppe Verdi, quando (1851) scrive il testo di ciò che musicato é chiamato dal cigno di Busseto “Rigoletto” non aveva avuto indicazioni specifiche, ma trattato l’argomento con il Maestro per una opera tragica sulla cattiveria umana.
Ma data l’epoca doveva stare attento e bilanciare qualcosa sull’altro sesso onde la famosa romanza “la donna è mobile” che da allora, direi ingiustamente, fa testo quasi che gli uomini non lo siano altrettanto.
Superata la “questio”di genere, in politica – anche perché una volta di donne non ve ne erano ed ancora oggi non sono in parità – si è sempre visto che la “mobilità” atteneva ai maschi che hanno cambiato casacche dapprima con lunghi periodi di traversate desertiche, ed oggi invece da mani a sera con alcuni che di partiti ne cambiano più d’uno: con la giustificazione che la velocità delle notizie sugli avvenimenti portano ad adeguarsi per non essere superati dagli stessi.
Perfetto. Ed è immaginabile che Francesco Maria Piave se si fosse oggi trovato a scrivere un Rigoletto avrebbe detto “il conte è mobile qual piuma al vento muta di accento e di pensier”.
Ed avrebbe avuto successo perché avrebbe descritto ciò che è sotto gli occhi italici da che quel bravo ragazzo di Di Mario scoprì un signore, avvocato di uno studio (non suo), gentile, educato un po’ manieroso con fazzoletto a tre punte sulla giacca e lo proiettò -nella sua immaginazione di politico già di lungo corso rispetto agli altri grillini – come presidente del Consiglio che vedeva bene perché sarebbe stato il peluche, come ora viene chiamato, nelle sue mani, pieno di sudditanza e gratitudine.
Mal gliene incolse. Se oggi il Ministro degli esteri, che sta facendo un buon lavoro di impiegato alla Farnesina, ha un nemico giurato é proprio il suo peluche che, dismessi i panni della penitenza, e dopo esperienze fattegli fare da altri – anche molto in alto – si è convinto di essere non solo avvocato del popolo – non grave tanto il popolo non lo ha mai eletto – ma uomo di stato che ha presieduto ben tre maggioranze diverse e contribuito a far sì che l’Italia si riducesse “tale e quale”.
Ora i nodi sono al pettine. Un Movimento con maggioranza relativa in Parlamento di quattro anni fa, ma che nel Paese vale quanto il due di coppe quando la briscola è ad oro, spaccato in conflitto “person to person” mette a rischio la fine della legislatura che il buon (ottimo!) Draghi, agnello sacrificale del Colle, cerca di portare a termine con gli annessi e connessi del PNRR (200 e più miliardi) in un momento di Covid alle stelle, inflazione all’8 e più%, recessione finanziaria, guerra altrui ma come se fosse nostra, e partiti che a trovarne uno in ottime condizioni si rischia di restare a mani vuote.
Il Conte è mobile. Ma contagioso più dell’Omicron 5.
Unica cura: il lockdown dei partiti.