Cina e India un terzo del mondo - QdS

Cina e India un terzo del mondo

Carlo Alberto Tregua

Cina e India un terzo del mondo

venerdì 13 Settembre 2019

Nella Storia del Giappone, di Kenneth G. Henshall, è riportato: quello Stato è stato fondato nel 660 avanti Cristo, mentre la Costituzione data il primo febbraio del 1889.
Il Giappone non voleva aprirsi all’esterno perché riteneva di essere, e voleva restare, autosufficiente. Solo il primo gennaio del 1873 venne adottato il calendario solare (gregoriano) che sostituì quello lunare, per cui le date furono portate avanti di 3/6 settimane. I telegrafi iniziarono a funzionare nel 1869, e i servizi postali nel 1871.
La chiusura all’esterno del Paese fu scardinata nel 1853 quando il commodoro statunitense, Matthew Perry, raggiunse la baia di Edo con quattro cannoniere a vapore e chiese la disponibilità ad aprire i porti del Paese al commercio. L’anno dopo, il Giappone rispose affermativamente e così iniziò il rapporto con l’Occidente.
L’impulso tecnologico di quel Paese è storia dei nostri giorni. La Toyota, appena due anni fa, è stata la marca automobilistica più venduta al mondo. L’avanzamento nel settore elettronico ed informatico è sotto gli occhi di tutti.

Cina ed India hanno una popolazione che è circa une terzo di quella di tutto il mondo. I loro Pil continuano a crescere ad un ritmo del 5/7% l’anno. In Cina c’è una dittatura che si chiama comunista (ma le dittature non hanno bisogno di denominazioni), mentre in India vi è un democrazia parziale, perché è di fatto gestita da famiglie e da nuclei che indirizzano i voti. Non è un caso che per decenni abbia dominato la famiglia di Indira Gandhi.
In India hanno fatto tesoro del sistema organizzativo dello Stato – che è una confederazione – e della burocrazia di modello anglosassone che ricorda le dominazioni del Regno Unito per un lungo periodo.
Vi è una religione molto sentita, l’induismo, con una serie di credenze molto diffuse e che fanno praticare i riti con continuità.
La diversa forma dello Stato, uno dittatoriale e l’altro democratico, dei due Paese orientali, ha un unico risultato: una crescita analoga, più quella cinese e meno quella indiana. Però i due Paesi crescono ad un ritmo che l’Europa non si sogna neanche.
Quanto precede fa sorgere la riflessione secondo la quale non si capisce se sia meglio la democrazia come si intende qui, ovvero quella come si intende in India, oppure la dittatura com’è in Cina.
È chiaro che quando mancano le libertà individuali i cittadini ne soffrono. Ma non sorge l’interrogativo che nelle democrazie occidentali le libertà individuali abbiano soverchiato molto la libertà di tutti, cioé l’interesse generale?
Se la libertà individuale prevaricasse quella generale sarebbe una forma di egoismo, non utile ad una corretta convivenza e alla crescita di una popolazione.
Tutti si richiamano al Popolo sovrano, ma in effetti il Popolo non è sovrano, in quanto non è colto e quindi viene gestito ed indirizzato dai suoi rappresentanti, che se sono onesti vanno per la retta via, ma spesso sono disonesti.
Vorremmo che si aprisse una discussione in Europa per valutare questa Democrazia, forse diventata falsa democrazia, e correggere il tiro.

Gli occidentali fanno poca attenzione a quello che accade nell’altro emisfero. Invece dovrebbero approfondire l’evoluzione di questi Paesi.
Singapore, che poco più di cinquant’anni fa era una foresta, è diventato uno Stato modello che il padre fondatore, Lee Kuan Yew, ha condotto per mano per tanti decenni. Oggi è il Paese con il più alto reddito pro capite.
E poi vanno ricordate altre due nazioni che hanno spiccato il volo economico e sono fra le prime del mondo per crescita di Pil e quasi assenza di disoccupazione. Si tratta dell’isola di Taiwan, che resiste alle mire di annessione della Cina, e della Corea del Sud che ha un’economia di primo ordine, innovativa e fortemente espansiva.
Da quelle parti l’Australia e la Nuova Zelanda – che fanno parte del Commonwealth e usano il modello strutturale anglosassone – crescono con un Pil molto superiore a quello europeo.
Lo scenario che vi abbiamo descritto vuole portare ad una riflessione perché ognuno si faccia un convincimento su come dovrebbe evolversi l’Europa nei prossimi decenni.

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