L’Italia del lavoro continua a mostrare un netto e profondo divario geografico e la Sicilia è la faccia peggiore. Un recente rapporto dell’ufficio studi della Cgia di Mestre, basato sull’indagine Bes dell’Istat, ha misurato il benessere aziendale in tutte le regioni italiane, incrociando una batteria di ben dieci sotto-indicatori fondamentali per definire la qualità dell’attività professionale. L’analisi dipinge una mappa a due velocità: mentre le regioni del Nord, con in testa la Lombardia e le province autonome, si attestano ai vertici per stabilità, soddisfazione e regolarità, il Mezzogiorno occupa stabilmente le posizioni di coda. In questo scenario, la Sicilia emerge come un caso emblematico delle sfide strutturali, evidenziando criticità in quasi tutti i parametri esaminati.
La classifica
La classifica generale sulla qualità del lavoro in Italia, stilata dalla Cgia assegnando un punteggio massimo di 100, vede il dominio incontrastato della Lombardia (85 punti), seguita dalla Provincia Autonoma di Bolzano (82,5) e dal Veneto (78). All’opposto, le regioni del Sud chiudono la graduatoria, con la Sicilia che si posiziona terzultima con un punteggio di soli 24, precedendo solo Basilicata (14,5) e Calabria (14). Questo risultato è la sintesi di un quadro complesso e problematico, che si manifesta in modo diffuso su ciascun indicatore analizzato.
I motivi siciliani
L’analisi dei singoli sotto-indicatori svela le radici del basso punteggio siciliano, in netto contrasto con le performance delle aree più virtuose. Anzitutto esiste una precarietà occupazionale: la Sicilia registra il dato peggiore a livello nazionale in termini di precarietà, intesa come la percentuale di occupati con lavori a termine da almeno cinque anni: il 27,9% dei lavoratori siciliani rientra in questa categoria. Il dato è quasi triplo rispetto alla regione più virtuosa, la Lombardia, che si ferma al 10,7% e risulta la meno interessata dal fenomeno. Poi il Il tasso di occupazione (fascia 20-64 anni) in Sicilia è uno dei più bassi d’Italia, attestandosi al 48,7%. Questo valore è drammaticamente lontano dal primato della provincia autonoma di Bolzano, che sfiora l’occupazione quasi piena con il 79,6%. A questo si aggiunge un altissimo tasso di mancata partecipazione al lavoro (coloro che non lavorano e non cercano impiego), che in Sicilia tocca il 32,6%, un dato che evidenzia una massiccia disaffezione o scoraggiamento, a fronte del minimo registrato a Bolzano (3,5%).
Lavoro Irregolare e Part-time Involontario
La piaga del lavoro irregolare (o sommerso) è particolarmente sentita nel Mezzogiorno. In Sicilia, il 16 degli occupati è non regolare, un valore più che doppio rispetto al dato della provincia autonoma di Bolzano (7,9%), la regione con il fenomeno più contenuto. Inoltre, la Sicilia è tra le regioni con la più alta incidenza di part-time involontario (14,8%), ovvero lavoratori che non hanno trovato un contratto a tempo pieno, una situazione che a Bolzano interessa solo il 3,8% degli occupati. Qui subentra la percezione soggettiva, la soddisfazione per il lavoro svolto (che considera retribuzione, stabilità, opportunità di carriera, ecc.) è bassa: solo il 45% degli occupati siciliani si dichiara appagato. Il confronto, in questo caso, vede primeggiare i territori di alta montagna, con la Valle d’Aosta al primo posto (61,7%), seguita da Trento e Bolzano. La paura di perdere il posto di lavoro (percezione di insicurezza) in Sicilia si attesta al 6,4%, contro il minimo del 2,4% a Bolzano.
Il modello virtuoso del Nord: stabilità e benessere
Le regioni ai vertici della classifica, in particolare la Lombardia, le province autonome e la Valle d’Aosta, non si distinguono solo per una migliore condizione economica, ma per un tessuto sociale e produttivo che promuove un maggiore benessere lavorativo e stabilità. La leadership della Lombardia (primo posto nella classifica generale) è dovuta a una minore incidenza di precarietà e infortuni mortali (tasso più contenuto in Italia con il 7,4 ogni 10 mila occupati nel 2022). Le province autonome, invece, si impongono per la più alta soddisfazione lavorativa e per il minimo impatto del lavoro irregolare, part-time involontario e mancata partecipazione. La Cgia evidenzia che in queste aree di montagna, la predominanza di piccolissime attività produttive ben integrate con l’ambiente contribuisce a rafforzare l’identità culturale e il senso di protagonismo dei lavoratori. Il loro successo è inoltre visibile nel basso tasso di occupati sovraistruiti: a Bolzano è solo il 16,3%, un dato che suggerisce un migliore allineamento tra titoli di studio e mansioni effettivamente svolte, a differenza della Sicilia, dove il dato è del 27,6%.
Le debolezze strutturali che alimentano il gap
Il divario nella qualità del lavoro tra Sicilia e Nord è profondamente radicato in debolezze strutturali che vanno oltre il mercato del lavoro. La percentuale di persone a rischio di povertà in Sicilia è salita al 38%, un valore che è più del doppio della media nazionale (18,9%). Parallelamente, il Pil pro capite in Sicilia (22,9 mila euro nel 2023) è ancora estremamente lontano dalla media nazionale, stimata a oltre 37 mila euro nel 2024. Il sistema produttivo siciliano, poi, è caratterizzato da una forte frammentazione, con il 92,3% delle imprese manifatturiere classificate come micro-imprese (0-9 addetti), un aspetto che limita la capacità competitiva, di investimento e di innovazione.
Mismatched skills
Nonostante l’elevata disoccupazione, le imprese siciliane lamentano una forte difficoltà nel reperire il personale necessario, in particolare per figure specializzate come operai e artigiani. In conclusione, il cammino per la Sicilia verso un miglioramento della qualità del lavoro passa inevitabilmente per il potenziamento delle politiche attive, una lotta serrata al sommerso e un investimento mirato nella formazione professionale, al fine di colmare un divario territoriale che, nonostante i segnali di crescita in alcuni settori, rimane profondo e penalizzante.
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