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Il Meridione questo derelitto

I meridionalisti, fra cui Antonio Genovesi, Giustino Fortunato, Gaetano Salvemini e Antonio Gramsci, hanno continuato a porre all’attenzione dei governi di questi centocinquantanove anni dall’annessione del Mezzogiorno al Piemonte, la questione del Sud e del suo sottosviluppo.
Nel 1861, Cavour, poco prima che morisse, ebbe il tempo di rastrellare tutte le risorse finanziarie che si trovavano nei forzieri del banco di Napoli e di Sicilia. Ebbe il tempo di togliere le licenze ai Florio per darle agli inglesi e di far chiudere le fabbriche che c’erano già allora, anche in Calabria.
In altri termini, la manovra razziatrice si manifestò subito, trovando pronta accoglienza nella classe dirigente del Nord che, così ristorata, trovò il modo di incominciare la rivoluzione industriale, che prese corpo qualche decennio dopo.
Ma anche dal secondo dopoguerra in avanti, le risorse pubbliche sono state destinate in maggiore misura al Nord, un po’ meno al Centro e quasi niente al Sud, salvo la disgraziata iniziativa dell’istituzione della Cassa del Mezzogiorno, che destinò al Sud cospicue risorse, mai arrivate al territorio.

I governi hanno più volte nominato ministri senza portafoglio per il Sud, ma essi hanno dimostrato tutta la loro impotenza quando era il momento di fare le scelte in base alle quali il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) destinava le risorse finanziarie.
Il quadro che disegniamo è testimoniato da due fatti inoppugnabili: le infrastrutture autostradali e ad alta velocità sono diffusissime in tutto il Centro-Nord fino alla più alta parte del Sud, nell’asse Napoli-Bari; l’autostrada che porta fino a Reggio Calabria è stata migliorata, ma non certo comparabile con quelle a quattro corsie che ci sono nel Nord del Paese. Non esiste ancora l’autostrada ionica che dovrebbe percorrere la suola dello stivale.
L’altro elemento che testimonia la discrasia riguarda l’infrastruttura ferroviaria, le cui Linee ad Alta velocità (Lav) arrivano fino a Napoli, mentre è in costruzione l’altra che dal capoluogo partenopeo porta al capoluogo pugliese. Al di sotto di quest’asse nulla si vede all’orizzonte.

Calabria, Sicilia e Sardegna sono totalmente dimenticate, ancora viaggiano treni a basse velocità e le merci percorrono queste tratte a 60/70 chilometri l’ora mentre da Napoli in sù viaggiano a 200 chilometri l’ora, seppur di notte.
Poi vi è lo sconcio del continuo rinvio della messa in cantiere del Ponte sullo Stretto, un manufatto assolutamente indispensabile per collegare la Sicilia al Paese, in modo da consentirle quello sviluppo indispensabile a togliere le popolazioni dallo stato di semi miseria in cui si trovano.
Che in Calabria, Sicilia e Sardegna non vi sia neanche una linea ferroviaria ad alta velocità, ma neanche quella a media velocità, è una vergogna e un disdoro di tutti i governi che hanno retto il Paese dal dopoguerra in avanti.
Ma bisogna anche chiamare in causa tutti dirigenti politici del Sud che non sono stati capaci di ottenere un cambio di rotta. Ciò perché si sono comportati da mendicanti una volta eletti nel Parlamento, anziché testimoniare con orgoglio la rappresentanza meridionale, che rappresenta oltre un terzo della popolazione.

Se merci e persone non si muovono con rapidità, oltre a essere danneggiate le imprese e le loro attività di produzione, viene danneggiata l’agricoltura che non riesce a portare i suoi prodotti rapidamente nei mercati del Nord Italia e del Centro Europa e, soprattutto, viene danneggiato il turismo, perché quando i cittadini esteri del Nord Italia vengono nel Sud, dovrebbero trovare servizi efficienti e trasporti pari a quelli che ormai ci sono in tutta Europa.
Il danno di questa insipienza è che nel Sud la malattia è grave, ma non si vede quali siano i medici capaci di curarla adeguatamente con farmaci opportuni e dosati ad hoc.
Per muovere la ruota economica meridionale occorre inserire convenienza a investire al Sud, una leva indispensabile senza di che le parole servono solo per dare fiato alla bocca.
Ma tutto questo, dobbiamo rilevare con vivo disappunto, non è ancora all’ordine del giorno della classe politica e del governo, se non a parole.