Il Pil cresce in Sicilia ma ricchezza e prosperità rimangono al Nord

Il Pil cresce in Sicilia ma ricchezza e prosperità rimangono al Nord

Il Pil cresce in Sicilia ma ricchezza e prosperità rimangono al Nord

Michele Giuliano  |
sabato 14 Settembre 2024

La stima della crescita è dello 0,46, la media italiana quasi doppia questa cifra 

La Sicilia cresce, l’economia isolana cerca in tutti i modi di uscire dalla crisi, di andare avanti e trovare una strada che porti a un futuro con maggiori opportunità e prospettive, eppure sembra sempre arrancare, rincorrere, penare. Secondo i dati resi disponibili da Prometeia, società italiana leader nel settore della consulenza, sviluppo software e ricerca economica per banche, assicurazioni e imprese, ed elaborati dall’ufficio studi della Cgia, l’associazione artigiani e piccole imprese di Mestre, il 2024 segnala un Pil reale siciliano in crescita dello 0,46%. Con questi numeri, la regione si pone tra quelle che meno crescono, considerato che la media nazionale arriva allo 0,71%, e arriva a 0,95% in Lombardia, 0,86% in Emilia Romagna e 0,81% in Valle d’Aosta. L’andamento siciliano rispecchia ciò che è successo negli ultimi anni. 

Cosa è successo nell’ultimo quinquennio 

Tra il 2019 e il 2024 in Sicilia il Pil è cresciuto del 3,21%, contro la media nazionale che arriva al 4,2% e la Lombardia, solita trascinatrice del resto del Paese, arriva al 6,65%. La situazione siciliana è ancora peggiore se si guarda alla condizione delle diverse province regionali. Un indicatore di riferimento è il valore aggiunto, e cioè del Pil al netto delle imposte indirette, la rappresentazione della ricchezza annua “aggiunta” all’economia. Va così a sintetizzare la crescita economica di quel territorio. In Sicilia, sono Palermo e Messina a segnare i migliori risultati, con un valore aggiunto rispettivo dello 0,63 e dello 0,48%. A seguire, Trapani con lo 0,32%, Siracusa a 0,23%, Catania a 0,18%. Praticamente in pari Caltanissetta allo 0,06%. Vanno in negativo, invece, Enna, che rileva un valore aggiunto del -0,04%, e Ragusa, a -0,14%. 

Il potere di acquisto 

Sempre da un’elaborazione realizzata dall’ufficio studi Cgia su dati pubblicati recentemente dall’Eurostat e riferiti al 2022, emerge che nella classifica del Pil pro capite a parità di potere d’acquisto delle 240 regioni presenti nell’Unione Europea, la provincia autonoma di Bolzano è il primo territorio italiano che nella graduatoria generale si colloca, però, al 13esimo posto con 56.900 euro. Seguono la provincia autonoma di Trento al 33esimo posto con 46.100 euro, la Lombardia al 34esimo posto con 46.000 euro e la Valle d’Aosta al 35esimo posto con 45.700 euro. Come prevedibile, le regioni del Mezzogiorno sono concentrate nella parte bassa della classifica. la Sicilia al 211esimo posto con 21.000 euro; la Puglia, ancora, è al 200esimo posto con un Pil pro capite di 22.900 euro, la Campania è al 205esimo posto con 22.200 euro.

L’andamento storico 

Se si guarda all’andamento storico dei dati, rispetto al 2019 (anno pre Covid), nella graduatoria europea del Pil pro capite tutte le nostre regioni del Nord o non hanno perso terreno, come il Veneto, o hanno migliorato la posizione che occupavano prima della crisi pandemica. Diversamente, le regioni meridionali, ad eccezione del Molise e della Basilicata, sono scivolate ulteriormente verso il fondo della classifica generale, in particolare la Calabria, la Campania e la Sicilia che hanno perso rispettivamente quattro, cinque e sei posizioni a livello europeo. Come ha avuto modo di segnalare la Banca d’Italia, nel 2024 la crescita dell’Italia sarà molto contenuta e in massima parte sostenuta dal buon andamento dei servizi, in particolare dal turismo e delle esportazioni. 

L’industria ridimensionata 

L’industria in senso stretto, invece, è destinata a subire un deciso ridimensionamento: in particolare nel settore della moda (tessile, abbigliamento, calzature e accessori), dell’automotive e del metallurgico (produzioni siderurgiche, di semilavorati e di preziosi). Anche gli investimenti non dovrebbero subire particolari incrementi, mentre i consumi delle famiglie sono destinati a salire nella seconda parte dell’anno, dopo la flessione registrata tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024. 

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