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Il ribaltone permanente

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Il ribaltone permanente

Giovanni Pizzo  |
giovedì 28 Aprile 2022

Qualcuno sussurra che i palermitani risponderanno a questa sortita su Palermo contrattaccando sull'agrigentino Lagalla per isolare il fronte della destra catanese, rinunciando al palermitano Cascio

Quest’isola, questa caotica e confusa terra di Sicilia vive costantemente di una patologia endemica come la talassemia. Da decenni soffre di ribaltonite, in continuo capovolgimento di fronti, coalizioni, candidati, di correnti e gruppi di potere. Il giorno si tesse e la notte si disfà, come se la vera Madre della Sicilia non fosse Cerere ma Penelope. Epicentro di questo virus è da anni Catania, città greco-bizantina ed agitata. L’ansia da prestazione è tale che su ogni questione ci sono continui rovesciamenti di fronte originati sotto il vulcano. Strano che ancora non ci sia una delibera o una norma che sposti il capoluogo di Regione sotto l’Etna. Ovviamente il pensiero va alla guerra sulla Presidenza della Regione, detenuta oggi da Musumeci ma avversata sia da orientali che da occidentali, in un continuo sentirsi per tradimenti, cambi di casacche, rivolgimenti di alleanze. Poi c’è la disfida sul Bilancio regionale, una sfida contro il tempo per l’approvazione, pena lo scioglimento dell’Assemblea Regionale. Qui lo scontro è tra loro che ritengono il bilancio di Armao un merluzzo congelato di impossibile cottura e chi si tura il naso per continuare una legislatura già terminata. Ma c’è anche la lotta spietata su Fontanarossa, l’aereoporto catanese, combattuta a colpi di Tar e di nomine per il nuovo Consiglio di Amministrazione, tra sostenitori di Lombardo o di Musumeci, con l’astuto Agen come pendolo di Foucault. E poi la guerriglia etnea esporta le sue incursioni fino alle candidature del centrodestra di Palermo. La Russa, colonnello di Paternò di FdI, insieme a Musumeci vuole sposare il candidato centrista Lagalla contro il fronte autoctono di Lega e Forza Italia su Cascio, in una lotta fratricida. Una volta Catania era la Milano del Sud e sosteneva l’isola con i suoi fatturati. Pensava a costruire e a commerciare, ad implementare aziende. Ora la crisi economica dell’Etna Valley, i negozi vuoti e sfitti, hanno compulsato la vis pugnace catanese su obbiettivi quasi interamente pubblici. La linea della palma palermitana, quella che dice che comandare è meglio di fare altro, ha contagiato la produttiva e brancatianamente voluttuosa Catania.

Qualcuno sussurra che i palermitani risponderanno a questa sortita su Palermo contrattaccando sull’agrigentino Lagalla per isolare il fronte della destra catanese, rinunciando al palermitano Cascio, quasi in un cupio dissolvi di una città ormai derelitta. Ma ogni giorno porta la sua pena, ed il potere, o la parvenza di esso, ogni giorno ribalta in un moto continuo i vincitori di oggi e quelli di domani. Tutto questo è ovviamente sterile ed improduttivo. Potreste pensare ad uno stile di guida del genere nella produttiva Lombardia o in Emilia Romagna? Una cosa sembra certa. Che gli sconfitti sono i siciliani.

Così è se vi pare.

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