Il Sassolino nella scarpa - QdS

Il Sassolino nella scarpa

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Il Sassolino nella scarpa

Giovanni Pizzo  |
mercoledì 18 Maggio 2022

Da un lato un contesto urbano anonimo e socialmente oppressivo, dall’altro la raffigurazione di un opera che ha generato il mostro

Premetto che non ho nulla di personale nei confronti dell’artista Arcangelo Sassolino, che non conosco, mia ignoranza certamente. Volevo solo inquadrare il contesto sociale e culturale intorno all’installazione artistica in corso ai Quattro Canti di Palermo.

Dalle foto che ho trovato, su altre installazioni dell’artista, si evidenziano le caratteristiche del contesto urbano in cui sono inserite. Il paradigma che ne esce fuori è una chiara e logica critica alla società industriale del lavoro, guadagno spendo.

Da un lato un contesto urbano anonimo e socialmente oppressivo, dall’altro la raffigurazione di un’opera che ha generato il mostro. Un escavatore che è arma di distruzione di massa, spesso di ecosistemi, per generare più bruttezza che Bellezza.

IL VIDEO DELL’INSTALLAZIONE

Pare, ma sono notizie de relato, che l’escavatore da istallare a Palermo sia stato sequestrato alla ‘Ndrangheta. Quindi dotato di intrinseca, anche se facile, carica simbologica.

Un tale manufatto, rappresentativo di un doppio maleficio da esorcizzare, poteva essere installato allo Zen, luogo non certamente pieno di istallazioni artistiche, o a Brancaccio dove la forza del male rappresentato dall’escavatore mafioso sequestrato poteva essere memento nel quartiere di Padre Puglisi. Poteva significare che, alla fine, la farina del diavolo finisce in crusca, e che lo Stato, il Padre giusto della comunità, alla fine vince.

Poteva definire una critica alla società massiva che generava Palazzoni anonimi e produttivi di esclusione sociale, come quelli progettati da Gregotti allo Zen, in un’epoca di razionalismo da piani quinquennali. Poteva essere un investimento culturale e pedagogico nelle periferie abbandonate di Palermo.

Ma invece no, si è voluto ambientare, non so onestamente di chi sia stata la scelta, questa opera nel centro del centro di Palermo, nei Quattro Canti del potere temporale della polis palermitana, accanto alla piazza delle “Vergogne”, di fronte alle statue dei Re spagnoli. Ma forse si voleva mandare un messaggio ai palermitani più intenso, se non fosse che quel luogo è più frequentato da turisti e non residenti che dai palermitani, tranne nel giorno di Santa Rosalia. È di fatto un messaggio al mondo, che l’amministrazione della città vuole dare. La città è sporca e degradata, ma Noi, il vicereame, ha sconfitto la mafia,  soprattutto quella del cemento. Un po’ come le macchine da tortura dell’inquisizione spagnola che vediamo allo Steri. Un monito urbi et orbi. Un sassolino nella scarpa dei palermitani nel salotto del Viceré Orlando I.

Cemento vade retro! Non ha importanza che Siviglia, Valencia, Malaga, Marsiglia, Düsseldorf abbiano continuato ad evolversi e svilupparsi scegliendo un cemento evoluto sul piano urbanistico ed architettonico. Noi no. Abbiamo scelto la Conservazione. Noi siamo la Santa Inquisizione.

È già scoppiata una polemica a Segesta sulla contaminazione tra l’antico ed il contemporaneo. Io dalle pagine di questo giornale ho difeso quel percorso della Fondazione Merz. Ma lì, in quelle istallazioni c’è un linguaggio che dialoga con gli dei e gli archetipi di quel luogo. Sassolino scegliendo, se li ha scelti lui, i Quattro Canti fa giustamente provocazione che porta visibilità. Però è facile fare provocazione nella vetrina, la vera trasgressione è farlo in periferia. Ai Quattro Canti è difficilissimo interpretare l’osmosi di contaminazione, è invece evidente la provocazione da shock anafilattico, ma si rischia solo di innestare una polemica sul contemporaneo, di cui invece questa città ha profondamente bisogno. Questa città ha bisogno di agganciarsi al futuro e non rimanere una statua di sale biblica descritta nella distruzione di Sodoma e Gomorra.

Così è se vi pare.

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