Il segno della discriminazione - QdS

Il segno della discriminazione

Giuseppe Sciacca

Il segno della discriminazione

giovedì 25 Febbraio 2021

Tra i segni della discriminazione è singolare la traccia rimasta sulla facciata del duomo di Messina

Non è un mistero che uno dei migliori amici di Papa Francesco sia un rabbino, suo connazionale. Il nome di questo rabbino è Skorka Abraham, anche lui un uomo di levatura non comune. I due si conobbero nel 1990, quando Jorge Mario Bergoglio era l’arcivescovo di Buenos Aires, confrontandosi sui valori fondamentali del cristianesimo dell’ebraismo. Le loro conversazioni divennero oggetto di un programma televisivo che proseguì per ben trenta puntate, poi confluite in un libro, pubblicato in Italia con il titolo Il cielo e la terra (Rizzoli, 2013). Ma non è stato sempre così ed in verità ancor oggi esistono ambienti tradizionali e conservatori in cui certe vicinanze restano malviste ed avversate.

L’antisemitismo, sempre pronto a riemergere, con rigogliose manifestazioni, ancor oggi presenti, e in tutta Europa. È antico di oltre duemila anni e normalmente fonda sull’idea di colpa dei giudei; si articola, sempre, su diversi piani: quello religioso e quello socioeconomico, ma comunque viene alimentato e corroborato dal concetto di minoranza e del diverso. Si sa che, specie in momenti di crisi economica e sociale ed in epoche segnate da mancanza di prospettive, nulla cementa meglio un gruppo pseudopolitico dell’ idea di avere un nemico, qualcuno contro cui combattere e quindi da odiare. Se poi il nemico è una minoranza indifesa e facile da schiacciare, appare un successo, a portata di mano, la cui aspettativa di affermazione consolida e rinforza il branco. Poi il conflitto, può essere gestito in modi diversi, la storia ci ricorda che quando l’antisemitismo era motivato da ragioni religiose gli ebrei erano oggetto di continue privazioni dei diritti civili, di vessazioni anche nel pagamento dei tributi, di ghettizzazioni, di persecuzioni e di isolamento, ma dovevano essere mantenuti in vita, giacché la loro dolorosa condizione di vita era la prova del loro errore, della colpa e della indegnità.

Quando i nazisti trasferirono la motivazione dell’antisemitismo sul piano della razza e quindi della purezza della stirpe, dovevano essere estinti e cancellati occorreva, quindi, hanno ideato la soluzione finale. In ogni caso, comunque, il primo passo è stato sempre la emarginazione del diverso. Era funzionale a tutto ciò la immediata individuazione degli ebrei, allorché si trovavano tra la gente. Questo fu subito chiaro a Federico II di Svevia,che nel 1221, nel meridione d’Italia, provvide ad imporre agli ebrei l’obbligo di portare sul petto un cerchio di stoffa rossa, al fine di distinguerli. Venne imposto di esporre un analoga rotella di coloro rosso sui muri delle loro botteghe. Gli uomini erano tenuti a lasciarsi la barba incolta, mentre le donne dovevano camminare, per le vie, a capo scoperto, a differenza delle cristiane che normalmente si coprivano la testa con un manto. La rotella quale segno distintivo venne mantenuto nei secoli, con periodi di maggiore o minore rigore nei controlli dell’osservanza.

Nell’agosto del 1395, re Martino di Sicilia confermò l’obbligo di mantenere questo segno distintivo per gli ebrei, puntualizzandone anche la forma. Veniva previsto che gli uomini portassero la rotella del panno rubeo sul petto, un palmo distante dalla barba, mentre le donne dovevano portarlo sul gomito destro. Fu istituita una prefettura della Rotella Rossa affidata a dei funzionari che vigilavano sull’osservanza di tale obbligo. Tra i segni della discriminazione è singolare la traccia rimasta sulla facciata del duomo di Messina, portata da una scritta, che serviva a suggellare la diffidenza nei confronti degli ebrei, contenuta in una piccola lapide di marmo di circa 20 cm per 5 cm, inserita a 3 metri di altezza dal suolo, tra i marmi della facciata, tra il portale gotico principale e quello di sinistra, rispetto a chi osserva dall’esterno.

Oggi l’iscrizione è quasi totalmente illeggibile perché abrasa, ma le parole che vi erano incise, restano ben note: “Signum Perfidorumum Iudaeorum”, così come confermato nel 1644 dal gesuita Placido Samperi, studioso che con le sue opere ha tracciato un quadro chiaro della storia, della religiosità e dell’arte nella città di Messina.

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