Il Ssn paga solo cure di efficacia dimostrata - QdS

Il Ssn paga solo cure di efficacia dimostrata

Serena Giovanna Grasso

Il Ssn paga solo cure di efficacia dimostrata

mercoledì 08 Maggio 2019

Cassazione: rigettata richiesta di paziente che voleva sottoporsi a un progetto di riabilitazione. Le prestazioni devono garantire economicità nell’impiego delle risorse economiche

PALERMO – Il servizio sanitario nazionale può erogare prestazioni solo se ci sono evidenze scientifiche, non paga per cure la cui efficacia non è dimostrabile in base a tali dimostrazioni. Questo è quanto afferma la Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 10719, pubblicata lo scorso 17 aprile.

Al centro della vicenda il contenzioso tra la Asl numero 10 di Firenze ed un paziente che chiedeva l’erogazione gratuita di una terapia conosciuta come metodo Dikul, che prevede una rieducazione motoria intensa, continuativa e personalizzata. Mentre il tribunale e la Corte d’Appello di Firenze avevano autorizzato l’erogazione della prestazione, la Corte di Cassazione ribalta la decisione.

L’Asl, ricorrendo in Cassazione, lamenta la mancata considerazione che per la sostenibilità del costo a carico del servizio sanitario nazionale sono necessarie le evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute a livello individuale o collettivo a fronte delle risorse impiegate.

Aggiunge che la terapia Dikul non presenta alcuna caratteristica innovativa per ciò che attiene alle tecniche di riabilitazione e difetta di riscontri positivi nella letteratura scientifica mondiale ed evidenzia che la Corte d’Appello non ha valutato il requisito dell’economicità effettuando una valutazione comparativa con i costi settimanali della terapia riabilitativa offerta attraverso strutture pubbliche o convenzionate.

La Cassazione ricorda che secondo il comma 7 del primo articolo del decreto legislativo numero 502/1992, per l’erogazione gratuita di prestazioni sanitarie da parte del servizio sanitario nazionale si richiede che le prestazioni presentino, per le specifiche condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, validate da parte della comunità scientifica.
L’appropriatezza impone che vi sia corrispondenza tra la patologia e il trattamento secondo un criterio di stretta necessità, tale da conseguire il migliore risultato terapeutico con la minore incidenza sulla qualità della vita del paziente.

Infine, è necessaria l’economicità nell’impiego delle risorse, che impone di valutare la presenza di altre forme di assistenza meno costose e volte a soddisfare le medesime esigenze, di efficacia comparabile, considerando quindi la possibilità di adeguati e tempestivi interventi terapeutici concorrenti o alternativi erogabili dalle strutture pubbliche o convenzionate con il servizio sanitario nazionale.

Si tratta di requisiti concorrenti che coniugano ragionevolmente le diverse esigenze, concernenti la sfera della collettività e la tutela individuale: da una parte i condizionamenti derivanti dalle risorse finanziarie di cui lo Stato dispone per organizzare il servizio sanitario e dall’altra il nucleo irriducibile del diritto alla salute come ambito inviolabile della dignità umana.

Dunque, la pretesa di scelta della modalità tecnica della cura presso un centro non accreditato con il servizio sanitario nazionale non può derivare solo dal maggiore gradimento soggettivo.

In definitiva, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso dell’Asl e rigetta la domanda originaria, condannando il paziente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in 200 euro, più 3.000 euro per spese professionali.

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