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Il triste fenomeno “Working poor”: aumentano i siciliani che lavorano ma non arrivano a fine mese

Il triste fenomeno “Working poor”: aumentano i siciliani che lavorano ma non arrivano a fine mese
Il fenomeno del “working poor” dilaga in Sicilia

In Sicilia aumentano le persone, soprattutto i più giovani, che lavorano ma non riescono ad arrivare a fine mese

Esistono. Li incontriamo quotidianamente tra mezzi pubblici o passeggiate in centro città. Li riconosciamo o, forse, non li conosciamo ancora. O non ce lo aspetteremmo mai che si tratti di una condizione permanente. Ma ci sono, sono in costante aumento e, al momento, sembra non esistano soluzioni pensate per colmare questo gap che dal punto di vista economico si sta estendendo sempre più ad ambiti medici e sociali. Stiamo parlando dei “working poor” siciliani.  Per lo più giovani che, pur lavorando, non riescono ad arrivare a fine mese. E non certo perché si tratti di spreconi. Semplicemente, tra affitti alle stelle, inflazione e caro vita galoppante, il tutto condito da contratti precari o inesistenti, portano lo stipendio a non bastare più. Qual è la situazione siciliana? Lo racconta il rapporto Caritas Palermo, che evidenzia come il numero di persone sostenute dalla rete sia aumentato del 50%. Ma cosa racconta il rapporto, quali sono i numeri di questi nuovi poveri e quali le loro storie? 

Palermo, la povertà che non si vede 

Nel cuore di Palermo la povertà non ha il volto che ci si aspetterebbe. Non dorme sulle panchine, non chiede l’elemosina davanti alle chiese, non interrompe il flusso turistico che attraversa via Maqueda o piazza Verdi. Vive dietro porte chiuse, in appartamenti in affitto, spesso piccoli e sovraffollati come quelli degli studenti. È la povertà di chi lavora, ma non ce la fa. I cosiddetti working poor, i poveri che lavorano, rappresentano oggi una delle trasformazioni più silenziose e profonde della questione sociale mondiale. Quelli che, per intenderci, continuano a scappare anche dalle grandi città del Nord perché il costo della vita è diventato insostenibile. Secondo i dati più recenti pubblicati da Istat nel Rapporto Bes 2024 e dalla Caritas, la povertà non è più confinata alla disoccupazione cronica o all’esclusione totale dal mercato del lavoro. Al contrario, cresce proprio tra chi un reddito ce l’ha, ma insufficiente a reggere l’urto dell’inflazione, dell’aumento degli affitti, delle bollette e della spesa alimentare. Tradotto: lavorare non basta più. E i dati diffusi a livello europeo raccontano delle difficoltà che incontrano soprattutto gli italiani. 

Stipendi: in Ue crescono, in Italia diminuiscono 

Nell’Ue lo stipendio annuo medio per dipendente è di 39.808 euro. Tra i Paesi membri varia da 15.387 euro in Bulgaria a 82.969 euro in Lussemburgo, ovvero 5,4 volte tanto. A riferirlo sono i dati diffusi da Eurostat e Ocse. Oltre al Lussemburgo, la media supera i 50.000 euro in altri cinque Paesi: Danimarca, Irlanda, Belgio, Austria e Germania. In coda, oltre alla Bulgaria, la media annua per dipendente è sotto i 20.000 euro in Grecia e Ungheria. In questo panorama, l’Italia è ferma a 33.523 euro. Il Belpaese è dietro anche a Slovenia e Spagna, economie storicamente più arretrate rispetto alla nostra. Secondo Eurostat, il salario medio mensile lordo nella media Ue è di 3.155 euro per un lavoratore a tempo pieno. L’Italia si ferma a 2.729 euro lordi per chi ha la fortuna di vantare un tempo indeterminato. Numeri che però risultano insufficienti per chi sceglie di vivere nelle grandi città, dove l’esplosione degli affitti ha spinto a una generale great resignation: le cosiddette dimissioni volontarie alla ricerca di un equilibrio sostenibile tra vita lavorativa e stile di vita. 

Ma chi sono i working poor? 

A Palermo questa dinamica è particolarmente evidente, perché si innesta su un mercato del lavoro fragile, caratterizzato da bassi salari, alta discontinuità occupazionale e un costo della vita che negli ultimi anni ha corso più veloce dei redditi. La povertà, dunque, non è sparita. Ha cambiato volto. E oggi ha il volto di impiegati, lavoratori dei servizi, addetti alle pulizie, operatori del commercio, dipendenti pubblici a basso reddito, lavoratori precari, part-time involontari. In prima fila ci sono soprattutto i giornalisti: giovani o meno. Persone che fino a pochi anni fa non avrebbero mai pensato di rivolgersi alla Caritas o ai servizi sociali comunali e per i quali, in assenza di un sostegno familiare stabile, quel passo diventa una necessità. 

Una città povera che lavora poco e male 

Il quadro statistico restituito dal Repertorio statistico del Comune di Palermo per il 2023 aiuta a comprendere il contesto in cui matura il fenomeno dei working poor. Il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni si ferma al 44,6%, uno dei più bassi tra le grandi città italiane. A Roma supera il 66%, a Verona sfiora il 76%. Il tasso di disoccupazione è pari al 19,8%, con circa 45 mila persone senza lavoro. Un dato che, seppur in lieve calo rispetto al 2022, risulta in aumento del 16,5% rispetto al 2019, cioè prima della pandemia. Ancora più allarmante è il tasso di inattività: 44,1% della popolazione in età lavorativa non lavora e non cerca lavoro. Il divario di genere resta profondo. A Palermo lavora il 53,1% degli uomini, ma solo il 36,6% delle donne. E sul tema della difficoltà dell’accesso delle donne al mondo del lavoro, ne abbiamo parlato proprio di recente sul QdS con la responsabile del Dipartimento Pari opportunità della Cgil Sicilia, Gabriella Messina. In questo scenario si innesta l’effetto inflazione. Nel 2023, a Palermo, i prezzi al consumo sono cresciuti in media del 6,2%, ma con un dato che pesa come un macigno sui bilanci familiari: +10,6% per i prodotti alimentari. In una città dove i redditi sono mediamente bassi, l’aumento del costo della spesa quotidiana ha un effetto regressivo devastante. Numeri analoghi si registrano anche nelle altre città siciliane. 

Dai numeri alle persone: l’ufficio delle nuove povertà 

Per capire cosa significhi davvero essere un working poor a Palermo, basta allontanarsi dalle statistiche e attraversare la soglia di alcuni uffici comunali. Proprio il capoluogo ne ha istituito uno attraverso l’Unità operativa di Benessere aziendale, che si occupa anche delle cosiddette “nuove povertà”. Ci sono persone che, pur avendo uno stipendio fisso, sono sovraindebitate, schiacciate da rate, bollette, affitti, spese impreviste, rateizzazioni. Gli uffici comunali, in questo caso, dopo aver visionate gli Isee, redigono un rapporto e li indirizzano ai centri di ascolto. Altri vengono inviati a un team di esperti legali, che tentano di rimettere ordine – in presenza di debiti ingenti – in bilanci familiari fuori controllo. Famiglie la cui situazione economica è deflagrata post Covid. Che hanno smesso di curarsi, che hanno chiuso bottega e dimenticato anche cosa sia la prevenzione. Per questa ragione l’ufficio ha creato una rete di medici volontari che si occupano di eseguire screening gratuiti. 

Il termometro Caritas: chi sono i working poor palermitani 

Il Rapporto della Caritas diocesana di Palermo 2021-2022, ultimo monitoraggio organico disponibile, offre uno spaccato dettagliato di questo cambiamento. Nei 18 centri di ascolto della diocesi, tra il 2021 e settembre 2022, sono state registrate 1.997 personeIl 78% è italiano e si attesta in una fascia tra i 45 e i 64 anni, cioè l’età centrale della vita lavorativa. Il 60% vive in famiglia, il 20% vive da solo. Circa il 70% abita in affitto, in larga parte nel mercato privato. Un dato cruciale, perché l’affitto è una delle voci di spesa più esposte agli aumenti e alle morosità. Il 18% vive in condizioni abitative instabili, tra centri di accoglienza, alloggi di fortuna, sistemazioni precarie. Dal punto di vista dell’istruzione, l’82% ha al massimo la licenza media, un elemento che incide sulla qualità dell’occupazione e sulla possibilità di migliorare la propria condizione. Il 65,4% delle persone seguite dalla Caritas lamenta redditi insufficienti, indebitamento o morosità. Sono i working poor: occupati precari, intermittenti, talvolta in nero, con salari bassi e nessuna protezione. 

Working poor: le storie dei siciliani 

Emanuele (nome di fantasia) ha 26 anni. Vive a Messina, ma è originario di un’altra provincia siciliana. Qui studia all’università e, quando i libri e le lezioni obbligatorie lo consentono, lavora nei fine settimana per arrotondare e mantenersi il privilegio dello studio. È stipendiato quasi sempre a nero. “Nei locali della movida, se vuoi lavorare, è quasi ovunque così. Altrimenti, se chiedi di essere messo in regola o di percepire qualcosa in più, considerando che gli stessi locali sono sempre pieni nei weekend, la settimana successiva non ti chiamano più”, racconta ai nostri microfoni. Per Emanuele lo stipendio è “sufficiente appena per fare la spesa, ma rinunciando a pesce, carne e prodotti i cui prezzi sono esplosi negli ultimi due anni”. Non se la passa meglio Daniele (nome di fantasia), 35 anni. È da poco stato assunto con contratto a tempo indeterminato all’interno di una cooperativa che ha vinto un appalto nella sanità siciliana. “Il mio stipendio, se facciamo le notti e arrotondo con straordinari, si attesta sui 1300 euro. Considerate che di affitto ne pago circa 550, rigorosamente a nero su volontà del proprietario, altrimenti arriverebbe a oltre 700 euro”. A questo Daniele aggiunge bollette, spesa e benzina per arrivare al lavoro. “In sostanza, non mi resta niente a fine mese e nei weekend mangio dai miei genitori per risparmiare”, racconta al QdS. E questo 35enne, nella visione della società, è percepito comunque “come un privilegiato per essere riuscito a ottenere una tipologia contrattuale desiderata nella mia città di origine”. 

Quando il lavoro non è più un argine alla povertà 

Il fenomeno non è solo locale. A livello nazionale, l’Istat conferma che l’incidenza della povertà assoluta è tre volte più alta tra le famiglie in cui il capofamiglia ha al massimo la licenza media e raggiunge il 16,5% tra quelle in cui la persona di riferimento è operaio o assimilato. Il lavoro, insomma, non basta più. Il Report Caritas Italiana 2024 rafforza questa lettura: quasi una persona su quattro tra gli assistiti ha un lavoro, una quota in crescita rispetto agli anni precedenti. Dal 2015 al 2023, il numero complessivo di persone sostenute dalla rete Caritas è aumentato del 41,6%, ma nel Mezzogiorno e nelle Isole l’incremento supera il 53%. La Sicilia è in prima linea. A Palermo, questa dinamica assume una forma precisa. La povertà non si misura solo sul reddito, ma sulle voci di spesa che esplodono. Casa, bollette, cibo. Nel Rapporto Caritas diocesano, l’81% delle richieste riguarda aiuti alimentari. Non per mancanza totale di reddito, ma per integrare bilanci ormai al limite. Tra le richieste non alimentari, oltre il 46% è legato alla gestione dell’abitazione: utenze, affitti arretrati, spese domestiche straordinarie, accoglienza per mancanza di alloggio. 

Famiglie, minori e il rischio della povertà ereditaria 

La povertà lavorativa colpisce con particolare durezza le famiglie con figli. Il Rapporto Caritas parla esplicitamente di una “trappola intergenerazionale”, in cui le difficoltà economiche dei genitori limitano le opportunità educative dei figli. Nei quartieri più fragili delle città siciliane – dallo Zen a Brancaccio a Palermo, da San Cristoforo a Librino a Catania e da Giostra a Gazzi a Messina – i tassi di abbandono scolastico restano tra i più alti d’Italia. Il legame tra povertà economica e povertà educativa è diretto. Il passaggio dal Reddito di cittadinanza all’Assegno di inclusione, secondo Caritas Italiana e dati Inps, ha comportato una riduzione di circa il 50% delle famiglie raggiunte nei primi mesi del 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023. Circa 331 mila nuclei risultano esclusi dal nuovo schema.  

La Sicilia nella trincea del lavoro povero 

Il quadro nazionale, come evidenziato dal QdS nelle scorse settimane a proposito del Rapporto Bes, non è rassicurante. Nel 2024 in Italia oltre 2,2 milioni di famiglie vivono in povertà assoluta, pari all’8,4% del totale. Gli individui coinvolti sono 5,7 milioni, il 9,8% dei residenti. I minori sono i più colpiti: 1,28 milioni, il 13,8%, con un picco del 16,4% nel Mezzogiorno. Se si guarda al rischio di povertà o esclusione sociale, l’Istat stima che nel 2024 il 23,1% della popolazione italiana sia in condizione di vulnerabilità. In Sicilia, sempre secondo il Rapporto Bes 2024, l’Isola presenta valori inferiori alla media nazionale in 10 domini su 12 del benessere. Il reddito disponibile lordo pro capite è di circa 16.900 euro annui, contro i 22.400 della media italiana.

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