A livello nazionale il settore viaggia adesso verso il recupero dei livelli commerciali che si registravano prima dell’emergenza sanitaria. Lo ha confermato il dato di crescita delle vendite dei vini
Un calice ormai di nuovo pieno. O quasi. Si potrebbe definire così l’attuale situazione del vino siciliano a due mesi dalla chiusura di un anno che segna il riassestamento del settore dopo l’urto, sui dati di vendita, causati dai lockdown e dal complesso adattamento alle nuove regole di distanziamento e capienza negli spazi, interni e esterni, di ristoranti, pub e enoteche.
I NUMERI
A livello nazionale il settore viaggia adesso verso il recupero dei livelli commerciali che si registravano prima dell’emergenza sanitaria. Lo ha confermato il dato di crescita delle vendite dei vini, pari al + 2% a volume e al 9,7% a valore, relativo ai primi 9 mesi del 2021, ufficializzato all’edizione speciale del Vinitaly di poco meno di due settimane fa. A questo particolare appuntamento, che, dopo lo stop della kermesse veronese degli ultimi due anni, ha celebrato la ripartenza del business vitivinicolo nel Belpaese con oltre 400 cantine espositrici da tutta Italia, la Sicilia ha inciso ancora una volta il suo bollo di qualità.
Nella classifica dei
vini Top, cioè quelli più venduti in assoluto nell’anno in corso, il Nero d’Avola si piazza infatti al 9°
posto con 4 milioni e 692mila litri venduti, per un valore di 20milioni e
811mila euro, mentre il Grillo,
occupa l’undicesimo nella graduatoria Best, quella dei vini col maggior tasso
di crescita, con un aumento del 17,3% rispetto allo stesso periodo del 2020.
DOPO LA CRISI
Una capacità di reazione alla crisi, legata anche al crescente livello di managerialità del personale nelle cantine, anche quelle più piccole. Un fattore legato anche all’alto tasso di placement del master per la formazione di Manager delle aziende del Settore Vitivinicolo, promosso dall’Università di Palermo e coordinato da Sebastiano Torcivia, ordinario di economia aziendale, di cui sta per partire la 16a edizione, con imminente scadenza del termine per le iscrizioni (l’1 novembre): “dei 150 allievi che fino a oggi hanno conseguito il titolo, almeno il 70% lavora stabilmente nelle aziende del vino siciliane e nazionali – dice il docente – Grazie in particolare ai loro monitoraggi in azienda è possibile raccogliere dati per costruire un quadro generale e nel contempo dettagliato del sistema vino in Sicilia”.
Una rappresentazione in
realtà piuttosto disomogeneo sotto il profilo delle dimensioni e delle
tipologie delle aziende: “il numero di quelle imbottigliatrici– specifica
Torcivia- si attesta oggi intorno alle 1.000 unità produttive nell’intero territorio regionale, per un fatturato
annuo complessivo stimabile nell’ordine dei 700 milioni di euro”, Quello del
numero delle cantine dotate dell’intera linea produttiva, è cresciuto
notevolmente rispetto a neanche 10 anni fa: “nel 2012 se ne contavano 620. Poi
si è registrato il boom delle micro aziende vitivinicole soprattutto sulle
pendici dell’Etna”.
Sul totale delle aziende
imbottigliatrici, 25 costituiscono il drappello di testa del vino siculo e da
sole rappresentano il 70% della produzione complessiva. Quelle di medie
dimensioni (fino a un milione di bottiglie) sono invece circa un centinaio e ne
rappresentano non più del 20 per cento. Il resto, oltre 800 aziende, sono le
realtà produttive piccole (con una capacità produttiva inferiore ai 100 mila
pezzi) che arrivano a totalizzare l’8-10% del vino siciliano imbottigliato. Tornando ai dati non ancora definitivamente
elaborati del 2020, “questo si avvicina ai 230
milioni di pezzi (da intendersi come bottiglie da 0,75 litri) e rappresenta
ormai almeno il 40% della produzione vitivinicola siciliana”, spiega Torcivia.
LA PANDEMIA
L’impatto dell’anno ‘pandemico’ sul settore ha penalizzato in particolare le cantine con un forte posizionamento nel canale ho.re.ca. Una battuta d’arresto valutabile in una media del -20% del fatturato, ma che per alcune aziende è stata più dura.
Tra quelle apicali, per esempio, spicca il caso del gruppo Tasca d’Almerita, tra le aziende artefici del successo internazionale del vino siciliano: conti andati giù del -27, 4% rispetto al 2019.
Per l’azienda con base nell’ex feudo di Regaleali (area di Sclafani Bagni), “questo riscontro si è tradotto – analizza Torcivia – in qualcosa come 5 milioni di euro in meno di fatturato. Le cause sono diverse, ma tra quelle determinanti c’è stato lo stop dell’enoturismo. Un impatto, proprio questo, risultato invece un pò meno dannoso per le cantine con sedi ubicate soprattutto lungo le zone costiere, come la Donnafugata di Marsala e con un buon posizionamento nei supermercati e nelle catene della grande distribuzione”.
Molto differenziato anche
l’andamento delle cooperative vitivinicole. La Colomba Bianca, di Mazara del
Vallo, ha chiuso il 2020 con un aumento di fatturato pari al 20%, mentre la
Settesoli, di Menfi, ha perso invece il 12% rispetto all’anno precedente.
“In generale si rileva –
sostiene Torcivia – una crescente adesione dei consumatori alla cultura del vino di qualità. Da un lato
la domanda trascina l’offerta, dall’ altro il consumatore si orienta verso una
spesa più alta”.
In definitiva il vino siculo consolida la sua competitività. “E lo fa grazie a una varietà di prodotti con un ottimo rapporto qualità-prezzo – sottolinea Laurent de la Gatinais, presidente di Assovini Sicilia, brand che associa attualmente 72 aziende dell’Isola – C’è una gran voglia di tornare a aggredire i mercati puntando non solo su Nero d’Avola e Grillo, i nostri vitigni più celebri, ma anche varietà autoctone meno conosciute come il Nerello Mascalese, il Frappato, il Perricone, il Catarratto, il Carricante, su cui adesso la curiosità dei consumatori è sempre più concentrata”.
Senza tralasciare l’appeal delle uve internazionali coltivate in Sicilia. Il riferimento va allo Chardonnay e ai tagli bordolesi (i classici vitigni del distretto di Bordeaux) come il Cabernet Sauvignon: vitigni decisivi per il Rinascimento del vino siciliano vent’anni fa.
Antonio Schembri