Immobili storici nel quartiere Avignone, scontro su conservazione e demolizioni - QdS

Immobili storici nel quartiere Avignone, scontro su conservazione e demolizioni

Lina Bruno

Immobili storici nel quartiere Avignone, scontro su conservazione e demolizioni

martedì 02 Luglio 2019

Nei giorni scorsi l’abbattimento di un edificio: ultima tappa di una vicenda durata molti anni. Duro scontro fra differenti visioni per la valorizzazione del patrimonio monumentale

MESSINA – A ricordare il vecchio quartiere Avignone sarà la facciata di un edificio del Settecento che sarà ricostruita come prospetto di un nuovo complesso immobiliare. Idea che non piace a molti così come non è piaciuta l’azione della ruspa che ha buttato giù quello che restava del vecchio palazzo, testimonianza della Messina pre–terremoto.

Le polemiche scatenate dalla demolizione, a distanza di una settimana non accennano a spegnersi, evocando problemi irrisolti: dalla mancata strategia per recuperare e valorizzare l’enorme patrimonio storico artistico che Messina possiede, all’assenza di strumenti urbanistici di tutela della città. Il Largo Avignone, adesso area residenziale di valore affacciata sulla centralissima via Cesare Battisti, era la periferia povera e degradata della città dove è cresciuto e ha operato Sant’Annibale Maria di Francia. Per i più quei ruderi andavano salvati.

La reazione più dura è stata quella dell’architetto Nino Principato, ex funzionario comunale e studioso di storia cittadina: “L’avevo vincolato nel Piano regolatore vigente come A1 – ha spiegato – cioè edificio d’interesse storico documentario dove erano consentite solo la manutenzione ordinaria, straordinaria, ristrutturazione, consolidamento statico e restauro e risanamento conservativo. Assolutamente non era consentita la demolizione. Io ho la coscienza a posto, ho fatto il possibile e l’impossibile per salvarlo, in perfetta solitudine e nel silenzio di tutti”.

Di diverso avviso sul valore storico artistico di quanto demolito è lo storico Franz Riccobono. “Ci si scandalizza – ha affermato – per qualcosa di modesto dal punto di vista architettonico, di interesse forse per i conci in pietra, cosa normale per quel periodo e poi si lascia la Real Cittadella nel degrado, la cripta del Duomo chiusa e allagata e tanti altri siti di valore abbandonati, senza che nessuno si indigni”.

È anche vero che su quella parte di edificio settecentesco che era rimasto in piedi, la Soprintendenza non ha posto nessun vincolo. Sui social si è gridato allo scandalo con la maggior parte dei commenti a sostegno delle tesi di Principato. Anche i componenti della precedente Giunta comunale, quella guidata da Renato Accorinti, sono intervenuti, come i rappresentanti di MessinAccomuna, per sottolineare la responsabilità politica dell’attuale Esecutivo cittadino che avrebbe “aspettato in modo inerte che gli adempimenti burocratico-amministrativi svolgessero il loro corso”.

Il sindaco Cateno De Luca e il vice sindaco Salvatore Mondello hanno chiarito che la vicenda risale al 2012, circa sette anni fa, con un percorso già tracciato soprattutto sotto il profilo amministrativo. Nel 2010 l’impresa chiese la concessione edilizia per eseguire i lavori di demolizione e ricostruzione con ampliamento del fabbricato in via cesare Battisti, in quanto gli immobili oggetto dell’intervento ricadevano in zona A. Ma nel 2013 arrivò l’atto di rigetto da parte degli uffici. La ditta presentò ricorso al Tar e il Tribunale amministrativo lo accolse in quanto sull’istanza di concessione edilizia si era formato il silenzio assenso. Due anni fa l’impresa diede comunicazione dell’inizio dei lavori ma i termini di validità della concessione auto-assentita erano ormai decaduti. L’impresa fece un altro ricorso, invocando la proroga, intervenne il Tar, quindi il Cga che aprì la strada all’autorizzazione della Soprintendenza per gli interventi di “pulizia dell’area dalle macerie dei vecchi fabbricati e lo smontaggio della facciata settecentesca con la conservazione degli elementi lapidei che costituiscono la parte architettonica della quinta settecentesca, catalogazione per la ricostruzione della facciata per anastilosi”.

In un documento, Italia Nostra considera un bluff di dubbio gusto chiamare anastilosi “il recupero di alcune pietre di portali e finestre” per produrre una “macedonia storico-evocativa” su una facciata di materiali contemporanei. “I materiali storici – hanno concluso dall’associazione – si conservano con i mezzi del restauro non si rimontano con la logica della citazione”.

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