Alcune riflessioni conclusive, sollecitate dalla rilettura di Benedetto Cotrugli e dal tentativo di rileggerlo con gli occhi del nostro tempo
Vorrei proporre alcune riflessioni conclusive, sollecitate dalla rilettura di Benedetto Cotrugli e dal tentativo di rileggerlo con gli occhi del nostro tempo.
– In primo luogo, se lo spirito d’impresa è, in importanti sfere dell’economia, sopraffatto dallo spirito capitalistico, ciò non legittima un suo de profundis. Anzi, i suoi straordinari meriti storici, i grandi compiti che ancora lo attendono in tante parti del mondo, solo sfiorati dallo stesso, la solidità dei suoi principi filosofici ed etici formatisi lentamente e faticosamente nei secoli, il fatto che in esso e in tali principi ancora si riconosca la maggior parte degli imprenditori-costruttori del mondo, richiedono a tutti noi un impegno per la sua difesa, conoscenza, sviluppo, divulgazione. Esso resta e deve restare come punto di riferimento, come paradigma proprio dell’impresa, unitariamente intesa, al di là delle sue dimensioni e articolazioni.
– L’impresa puramente capitalista dominata dall’obiettivo esclusivo del guadagno, guidata da uomini d’affari o dalla nuova aristocrazia, tuttavia esiste ed è una grande realtà del nostro tempo. Essa è capace ce di grandi compiti, ma anche di grandi degenerazioni, e di grandi distruzioni. Essa è capace di dominare governi, di influenzare modelli di sviluppo, di determinare il destino di milioni di persone, di interi Paesi. Come contenere e indirizzare verso il bene questa grande forza della natura? Io non credo che la via delle dottrine etiche, tanto di matrice religiosa quanto di matrice laica (la cosiddetta business ethics), sia la via più adatta per affrontare questo fenomeno. Essa porta solo a quelle manifestazioni largamente folcloristiche che sono i catechismi aziendali. Di ben altro abbiamo bisogno. Concordo, quindi, in toto con Sombart che, ponendosi la stessa domanda nel 1913, rispondeva:
“Chi crede che il gigante Capitalismo possa distruggere la natura e gli uomini, spererà di poterlo incatenare e ricondurlo di nuovo di là delle barriere da dove è fuggito. Si è pensato di ricondurlo alla ragione anche con elucubrazioni etiche. A me sembra che tali tentativi siano destinati a naufragare miseramente. Il capitalismo, che ha spezzato le ferree catene delle più antiche religioni, non si lascerà legare dai fili di seta di una dottrina escogitata a Weimar o Königsberg. La sola cosa che si possa fare, fino a quando la forza del gigante sia intatta, è di prendere misure protettive per mettere al sicuro anima, corpo e beni. Gettare secchi d’acqua per spegnere l’incendio in forma di leggi in difesa del lavoro, leggi in difesa della casa e cose simili, e affidare la loro difesa a un reparto bene organizzato perché spenga l’incendio quando venisse appiccato alle dimore della nostra civiltà”.