Lavoro

In Sicilia più di tre addetti su cinque lavorano nella microimprenditoria

PALERMO – Nelle regioni meridionali, il peso occupazionale delle microimprese raggiunge i valori massimi. Infatti, secondo i dati contenuti all’interno del report della Cgia di Mestre (Associazione artigiani e piccole imprese), elaborati a partire dalle analisi condotte dall’Istituto nazionale di statistica, le microimprese del Mezzogiorno assorbono ben il 59,9% degli addetti complessivi nelle imprese. In termini assoluti, si tratta di 2,1 milioni di addetti sui 3,5 milioni di addetti totali. Mentre al Centro l’incidenza è pari al 44,3% ed al Nord ammonta al 39,4%.

In Sicilia, le microaziende, vale a dire tutte le attività imprenditoriali con un numero di addetti inferiore a dieci, impiegano ben 463.392 unità, corrispondenti al 63,7% del totale addetti (727.829). Questa siciliana è la terza incidenza più sostenuta a livello nazionale. Valori maggiormente elevati si osservano solo in Calabria (182.505 addetti sui 264.630 complessivi, pari al 69% del totale) e nel Molise, regione con un’incidenza pari al 66,2%. A seguire, al quarto e quinto posto, troviamo rispettivamente Sardegna (63,4%) e Puglia (59,7%). In coda, invece, si piazzano l’Emilia Romagna (40,5%), il Lazio (37,1%) e, in ultima posizione, la Lombardia (34%). Secondo la Cgia di Mestre “la forte rappresentatività al Sud e nelle Isole delle microattività si deve al fatto che in questi territori la presenza delle medie e grandi imprese è perlopiù assente, al contrario ampiamente concentrata al Centro-Nord”.

Complessivamente, a livello nazionale le microimprese impiegano quasi 7,5 milioni di addetti (ovvero il 44,5% degli addetti totali, pari a 17 milioni di unità), un valore doppio rispetto a quello riferito alle grandi aziende (oltre i 250 addetti) che assorbono 3,8 milioni di addetti. Inoltre, se mettiamo a confronto gli addetti delle medie e grandi imprese (6 milioni) con i 7,5 milioni delle micro, notiamo che in queste ultime lavorano 1,5 milioni di persone in più. Altresì, le microaziende generano il 29% del valore aggiunto riconducibile alle imprese (220 miliardi di euro su un totale di 750 miliardi di euro) e il 25% del fatturato nazionale (746 miliardi di euro).

“Fino a quarant’anni fa le microaziende erano ritenute residuali – afferma Paolo Zabeo, il coordinatore dell’ufficio studi della Cgia – quasi un effetto collaterale del boom economico esploso negli anni ‘60. Molti esperti, addirittura, prevedevano che nel giro di qualche decennio sarebbero scomparse a causa della globalizzazione. Diversamente, le micro imprese si sono consolidate e oggi costituiscono uno degli assi portanti della nostra economia. E nonostante la crisi le abbia colpite duramente, mantengono ancora un peso occupazionale rilevante, sebbene la politica e in generale l’opinione pubblica non le tengano in grande considerazione”.

I settori economici dove il peso occupazionale dei piccolissimi imprenditori è maggiore sono le attività immobiliari (93,3% del totale addetti nell’ambito), altri servizi alla persona, come il settore benessere composto da parrucchieri, barbieri, estetiste, massaggiatori (78,7%), i liberi professionisti (76%) e le costruzioni (65,4%). In termini assoluti, invece, il comparto dove il numero di addetti nelle micro attività è maggiore è il commercio-autoriparazione, con quasi 2 milioni di addetti in Italia.