Editoriale

Inattivi e disoccupati, Neet due milioni

Secondo il recente report della Cgil Fondazione Di Vittorio, gli inattivi e i disoccupati in Italia sono 3,9 milioni, mentre i Neet, cioé i giovani che non lavorano e non studiano, sono circa due milioni. Si tratta di un numero di persone che rappresenta circa il dieci per cento della popolazione.

Il guaio è che essi dovrebbero essere la parte attiva e trainante del Paese e, se tutti lavorassero, produrrebbero quei contributi necessari a pagare gli assegni pensionistici a chi è ormai in quiescenza.
Sono sprovveduti coloro che continuano ad allargare la platea dei pensionati, con l’aumento delle uscite, senza tener conto delle entrate, conseguenza del lavoro attivo.

Perché vi sono tanti disoccupati e, soprattutto, perché vi sono tanti inattivi, cioè persone adulte che non cercano il lavoro? In parte perché lo Stato si dimostra debole e continua a erogare assegni a destra e a manca, anche a chi non li merita, contribuendo a far aumentare il malvezzo della gente che non vuole lavorare e quindi viene mantenuta, nonostante non ne abbia bisogno.


Gli inattivi, oltre a godere di tante “regalie” dello Stato, approfittano restando ai margini del lavoro ufficiale, svolgendo lavori e lavoretti in nero con cui arrotondano le entrate mensili. Questo comportamento, apparentemente innocuo, invece è molto dannoso perché sottrae lavoro a chi è in regola, aziende e artigiani, e sottrae imposte allo Stato, godendo invece degli assegni che questo paga loro.

Per i disoccupati il discorso è diverso perché si tratta di persone che hanno voglia di lavorare, ma spesso non hanno le competenze e i requisiti per farlo. Ovviamente non vogliamo generalizzare, perché il discorso non riguarda tutti bensì una parte di essi che non ha avuto la capacità di apprendere nuove tecnologie e nuovi modi di lavorare, con la conseguenza che non trova occupazione, non perché non vi sia, ma perché non è in condizione di offrire le prestazioni richieste.

A colmare il gap delle prestazioni non disponibili, ci dovrebbero pensare Scuola, Università e formazione regionale, che spende centinaia e centinaia di milioni. Ma quest’ultima si occupa solo di figure professionali obsolete e di lavori che sono superati.

I Neet crescono in famiglie – molto più diffuse al Sud che al Nord – ove spesso non c’è la cultura dell’occupazione.
Quando le famiglie consentono ai propri ragazzi di non studiare e di non cercare lavoro, fanno un danno notevole non solo agli stessi, ma all’intera Comunità, perché consentono un comportamento lassista e quindi di fatto diventano complici della mentalità parassitaria che fa di tali giovani spesso anche delinquenti. Delinquenti perché, comunque, vogliono avere a disposizione denaro per fare le cose che fanno gli altri e quindi, non potendolo ricevere magari dalle loro famiglie o dal loro lavoro, se lo procurano in maniera indebita.

Anche in questo caso lo Stato dovrebbe essere più rigoroso e attento nell’elargire assegni, a destra e a manca, facendo controlli preventivi per vedere se si tratti di famiglie veramente bisognose o se invece tali famiglie agiscono in modo incivile.


Quanto precede si riflette anche nel lavoro pubblico, nel senso che molti cercano rifugio nel posticino non già per lavorare, per produrre attività, per contribuire a erogare i servizi a cittadini e imprese, quanto per assicurarsi uno stipendio mensile e una protezione in caso di malattie e di false malattie.

Intendiamoci, non è che nel lavoro pubblico dirigenti e dipendenti siano tutti irresponsabili e incivili. Tutt’altro. Lo ripetiamo più volte: vi è una gran parte di persone perbene, di competenti, di gente che ha il senso del dovere e che di fatto è l’architrave che regge tutta la Pubblica amministrazione. Queste persone dovrebbero essere premiate, vale a dire dovrebbe essere riconosciuto il loro merito, ma nella Pubblica amministrazione la meritocrazia è sconosciuta perché tutti i contratti tendono a livellare al basso le remunerazioni, per cui, anche chi avesse voglia di lavorare meglio e di più, poi non è in condizione di farlo.

Non sembra che il ministro della Pa, Renato Brunetta, stia preparando la riforma in questa direzione.