Inchiesta sui rapporti tra clan e Sielte, riflessi sul servizio idrico

Inchiesta sui rapporti tra clan e Sielte, riflessi sul servizio idrico. “Ati chieda informativa antimafia”

Inchiesta sui rapporti tra clan e Sielte, riflessi sul servizio idrico. “Ati chieda informativa antimafia”

Simone Olivelli  |
giovedì 04 Luglio 2024

Come già raccontato ieri dal Quotidiano di Sicilia, Sielte possiede l'un per cento delle quote di Hydro Catania

A voler tentare una metafora si potrebbe dire che l’inchiesta sugli interessi del clan Pillera nella manutenzione delle linee telefoniche e la presunta complicità di alcuni soggetti interni alla Sielte, la ditta che assegnava i subappalti, potrebbe causare più di qualche interferenza in quello che è al momento l’affare più grande nell’intera provincia di Catania: il servizio idrico integrato. Un affidamento della durata di quasi trent’anni e del valore che si aggira sul miliardo e mezzo di euro.

La notizia del blitz della guardia di finanza è arrivata ieri anche all’Assemblea territoriale idrica, l’ente pubblico in cui siedono i sindaci dei 58 comuni della provincia. Proprio negli uffici di via Nuovaluce, a Tremestieri, da diverse settimane i sindaci attendono di riunirsi per assistere alla firma della convenzione con la Servizi idrici etnei (Sie), società mista pubblico-privata che dopo quasi due decenni di liti in tribunali è riuscita a vedersi riconosciuta il diritto di diventare il gestore unico così come decretato da una gara d’appalto svoltasi a metà anni Duemila.

Si tratta dell’atto formale che suggellerà quello che, ad aprile, è stato stabilito dalla commissaria ad acta inviata dalla Regione per superare lo stallo dopo che parte dei sindaci dell’Assemblea avevano messo in dubbio i dettagli della convenzione. L’iter, che da più parti veniva dato in dirittura d’arrivo, potrebbe subire un improvviso rallentamento. E il motivo va cercato proprio nell’indagine Filo conduttore.

Il ruolo di Sielte

Come già raccontato ieri dal Quotidiano di Sicilia, Sielte possiede l’un per cento delle quote di Hydro Catania, società che detiene il 49 per cento del capitale di Sie. In sostanza è una delle imprese private che avranno un ruolo nella messa in atto delle opere che verranno realizzate nei prossimi 29 anni in tutta la provincia.

Da ieri, però, su Sielte pesa anche l’ombra di avere contribuito a far sì che le imprese controllate dai parenti del boss ergastolano Turi Pillera mantenessero le mani nei subappalti del settore telecomunicazioni, anche nel momento in cui il tribunale di Catania, dopo le indagini seguite al fallimento della Dosian, aveva posto sotto sequestro la Catania Impianti, la ditta su cui gli uomini vicini al clan avevano dirottato contratti e risorse della società fallita. I militari della finanza hanno infatti scoperto che, tramite altre due ditte, il gruppo aveva iniziato a erodere le commesse che solitamente venivano assegnate a Catania Impianti. Una riduzione di introiti che l’amministratore giudiziario ha quantificato in circa 50mila euro al mese e ricondotto a una possibile complicità da parte di alcuni dipendenti di Sielte.

Tra questi ci sarebbe stato anche Domenico Lombardo, cognato dell’amministratore delegato Salvo Turrisi e da ieri ai domiciliari con le accuse di bancarotta fraudolenta e riciclaggio, reati che avrebbe commesso con la finalità di agevolare l’associazione mafiosa. Lombardo da settembre scorso risulta avere risolto il proprio rapporto di lavoro con la società. “La Sielte – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – ha operato secondo il tipico schema dell’impresa collusa, la quale in cambio di erogazioni in denaro, assunzioni di comodo e assicurazione di commesse esclusive alle imprese di pertinenza del gruppo mafioso ha ottenuto protezione e vantaggi per la società e i singoli gestori”.

Nei verbali riempiti nel momento in cui ha deciso di saltare il fosso, il collaboratore di giustizia Salvatore Messina ha fatto il nome anche di Salvo Turrisi, tra coloro che avrebbero beneficiato dei servizi messi a disposizione dalla cosca mafiosa. Turrisi, tuttavia, non risulta tra gli indagati. “In un’occasione gli avevano rubato una macchina, se non erro una Fiat Bravo, in una villa, fra il 2007 e il 2008. Io ero da poco stato scarcerato dopo la detenzione in Germania – ha raccontato Messina ai magistrati –. Lui è venuto direttamente da me e mi ha chiesto se potessi trovarla. Io mi sono interessato e ho parlato con quelli che in quel periodo facevano furti in villa, che in quel periodo erano essenzialmente il gruppo degli Arena o il gruppo dei Nizza. Sono andato a Librino e mi hanno detto che la macchina ce l’avevano loro e che gliela avrebbero ridata”. L’amministratore di Sielte, stando alla ricostruzione del collaboratore di giustizia, sarebbe stato a conoscenza della modalità di ritrovamento del mezzo. “Ho chiamato Turrisi e gli ho detto – ha proseguito Messina – di venire al distributore perché non potevo dirglielo al telefono. Nel frattempo, io la macchina l’avevo fatta uscire dal posto dove era stata nascosta e l’ho fatta parcheggiare in una strada principale nella zona di Librino. Dopodiché ho fatto accompagnare Turrisi nel luogo dove era parcheggiata la macchina e lui, una volta trovata, ha chiamato le forze di polizia per dire che l’aveva trovata per caso”.

La delusione per il favore non ricevuto

Il collaboratore Messina ha parlato anche di alcune circostanze in cui il clan non avrebbe dato l’aiuto che i vertici di Sielte si sarebbero attesi suscitando anche la delusione di questi ultimi. “Nel 2014, quando io ero tra Milano e Torino, Turrisi si è rivolto al clan per avere aiuto per recuperare gioielli, soldi e una macchina che gli avevano rubato facendogli un vero e proprio assalto in casa. Io – si legge in un verbale – sono stato avvisato da mio figlio Antonio (arrestato nel blitz di martedì, ndr), ma gli ho detto che non potevo fare nulla perché in quel periodo non ero in buoni rapporti con il mio clan. Quando sono rientrato a Catania nel 2015, questa storia mi è stata riferita sia da Turrisi sia da Lombardo, che ancora non digerivano quanto era successo loro”. Messina spiega il motivo del malumore: “Non accettavano il fatto di avere subito una grave rapina in casa e che noi del clan non fossimo riusciti a recuperare nulla, perché sostanzialmente loro ci garantivano circa 4-500.000 euro di lavori al mese, oltre a quei 3.500 che ci davano fissi in più, ma volevano da noi anche la garanzia che, quando avevano un problema, noi dovevamo risolverglielo”.

Le richieste di accertamenti all’Ati

Per quanto si tratti di aneddoti che allo stato attuale si basano meramente sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, sul fatto che all’interno di Sielte il gruppo dei Pillera avesse complici gli inquirenti non hanno dubbi. Oltre a Lombardo, ai domiciliari sono finiti i dipendenti Luca Bianco e Alessandro Musumeci.

E oggi a chiedere all’Ati di approfondire la vicenda sono diversi esponenti politici dell’area etnea. “Alla luce di quanto emerso in queste ore ritengo sia doveroso per l’Assemblea effettuare ogni tipo di controllo possibile per capire se esistano le giuste garanzie di legalità e trasparenza tra tutti i soci privati di Sie. Bisogna sgombrare il campo da ogni sospetto, in ballo c’è oltre un miliardo di lavori”, dichiara al QdS il sindaco di Piedimonte Etneo Ignazio Puglisi. Dello stesso avviso è Francesco Fichera, consigliere di minoranza ad Acireale in quota Pd e nei mesi scorsi fortemente critico nei confronti della convenzione. “Sta emergendo un quadro inquietante. Il dato che deve fare allarmare è il coinvolgimento nell’inchiesta di una società che fa parte del raggruppamento di imprenditori che sarà chiamato a gestire un servizio importante come quello idrico. È necessario che gli uffici dell’Ati provvedano a effettuare tutte le dovute verifiche”.

A Catania, dove la partecipata Sidra detiene quasi il 4 per cento di Hydro Catania, a intervenire è la consigliera del Movimento 5 Stelle Gianina Ciancio. “Nei giorni scorsi in commissione consiliare abbiamo chiesto notizie in merito alla firma della convenzione con Sie all’assessore alle partecipate Marletta, che però non ha saputo darci aggiornamenti – commenta l’esponente pentastellata – Alla luce di ciò che è venuto fuori in questa indagine chiediamo massima attenzione da parte del sindaco Trantino e un doveroso approfondimento in sede di Ati, su una vicenda che potrebbe ritardare un percorso che sembrava concluso e che riguarda un servizio essenziale per il nostro territorio”.

Gli investimenti nel servizio idrico

Tra i soci d’opera che hanno quote in Hydro Catania e operano nello stesso settore di Sielte c’è Acoset, la partecipata che in questi anni ha servito una quindicina di comuni della provincia. Nei mesi scorsi, il direttore Antonio Coniglio aveva ricordato la necessità di rispettare i patti parasociali che erano stati stipulati in occasione della partecipazione alla gara e che vedevano Acoset come il soggetto che si sarebbe dovuto occupare dello sviluppo della tecnologia di telerilevamento e la sostituzione dei contatori. “Si tratta di una condizione fondamentale per avviare il servizio integrato, bisogna chiarire chi è che farà cosa e per fare ciò non si può prescindere dagli accordi a monte della gara”, ribadisce Coniglio al QdS. Sull’indagine della procura: “Bisogna attendere che la giustizia faccia il proprio corso, ma va da sé che l’Ati è chiamata a fare tutte le verifiche del caso, a maggior ragione adesso”.

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