L’indolenza non crea né lavoro, né sviluppo - QdS

L’indolenza non crea né lavoro, né sviluppo

redazione

L’indolenza non crea né lavoro, né sviluppo

mercoledì 01 Giugno 2022

Siamo indolenti e non ce lo possiamo più permettere

Se poniamo ad un siciliano un problema, dopo un giorno lui avrà trovato dieci possibili soluzioni. Se lo poniamo ad un milanese non ne avrà trovato nessuna.

Dopo due giorni il siciliano avrà trovato cento soluzioni e il milanese nessuna. Il terzo giorno il siciliano avrà toccato quota mille soluzioni, ma il milanese avrà già risolto il problema.
Se non riusciremo a darci la forza necessaria ed a ritrovare il buonsenso indispensabile per essere più concreti e operativi, senza attendere la manna dal cielo, che non arriverà più, non avremo futuro. L’esempio appena riferito è liberamente tratto da “il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ma purtroppo sembra scritto oggi.

L’attendismo, l’incapacità di lavorare in squadra, il sospetto scambiato per dubbio, costituiscono tra i nostri peggiori difetti, insieme alla continua negazione della storia ed al meschino tentativo di scaricare sempre sugli altri responsabilità che sono soltanto nostre e che faremmo bene ad ammettere subito, senza perdere neanche un minuto.

Chi vuole raccogliere frutti più succosi, ad esempio, non taglia le radici dell’albero che coltiva con impegno e passione, ma i rami secchi sì, eliminando quelli che non producono. Chi vuole ottenere risultati politici più efficaci non ignora, o finge di ignorare, il passato, lo studia accuratamente, ne trae insegnamento ed evita di ripeterne gli errori.

Chi si batte per un mondo migliore prova a capire bene la geografia, l’economia, così come chi vuole costruire una società di buoni cittadini studia l’educazione civica ed educa i figli al rispetto della legge.
Sembrano concetti banali, ma non per questo possono definirsi superati se è vero ancora, come lo è certamente, che la scuola viene trascurata dalla politica e non insegna ad imparare a studiare, ma soltanto ad acquisire semplici nozioni mnemoniche, che rischiano di essere dimenticate presto.

Siamo indolenti e non ce lo possiamo più permettere. Infatti, non possiamo combattere il tradimento dello Stato senza partecipazione, anzi, con l’assenteismo civile che caratterizza la pericolosissima antipolitica, mentre possiamo combatterlo con l’intelligenza, l’impegno e la passione che dobbiamo riscoprire in noi.

Nessuno ci sottoporrà mai ad una cura ricostituente a base di lavoro e partecipazione. Accadrà il contrario: verremo spinti verso la disaffezione, verso il disinteresse, verso la fuga dall’istruzione, verso lo scambio, non alla pari, della libertà con la sicurezza.

Il tutto mentre la scuola, la giustizia, la burocrazia e la sanità versano in pessime condizioni e nessuno parla di infrastrutture al Sud. Come si fa ad uscire dal bisogno senza strade, senza ferrovie, senza porti ed interporti, senza reti?

Così non può durare, la situazione rischia di degenerare e sarebbe grave se ad accorgersene non siano gli stessi italiani, che potrebbero stancarsi di vivere in un Paese che marcia a due velocità!

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