PALERMO – La beffa oltre al danno, perché in Italia le vittime di un errore giudiziario sono costrette ad aspettare anche più dieci anni per ottenere il dovuto risarcimento. Nel frattempo, ancora una volta, vengono lasciate in un limbo in cui la loro vita risulta sospesa a causa della malagiustizia. Questa incresciosa situazione è stata il principale focus di discussione del convegno dal titolo “Errori giudiziari e ingiuste detenzioni”, organizzato all’interno dell’Oratorio dei Santi Elena e Costantino di Palermo, dal “Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito”, il quale ha colto l’occasione per presentare ai siciliani la proposta di legge di iniziativa popolare denominata “Zuncheddu e altri”, con l’obiettivo di richiamare il caso emblematico di una ingiusta detenzione, durata ben 33 anni.
Ogni anno 1.000 risarcimenti per ingiusta detenzione
“Sono circa 1.000 i risarcimenti per ingiusta detenzione che vengono richiesti in Italia ogni anno – ha precisato subito Irene Testa, tesoriere del Partito Radicale e garante per i detenuti della regione Sardegna -. Con questa proposta di legge vogliamo colmare un vuoto normativo, infatti riteniamo che, mentre attendono la sentenza di risarcimento danni, queste persone debbano essere messe nelle condizioni di vivere, perché non bisogna dimenticare che dietro queste storie ci sono intere esistenze e famiglie distrutte, aziende fallite, professioni fatti a pezzi da ingiuste accuse e detenzioni. Alcune di queste persone sono costrette a chiedere aiuto ai familiari o rivolgersi alla Caritas. C’è anche da considerare che portare avanti un processo è molto costoso, soprattutto per chi è costretto a stare in carcere in attesa del termine del processo. Finito quel tunnel, dunque, ne inizia un altro altrettanto lungo per ottenere il risarcimento”.
Il caso di Zuncheddu non è un caso isolato
Depositata a gennaio da Irene Testa, Gaia Tortora – Presidente d’onore del Partito Radicale – e dieci vittime di giustizia, la Pdl “Zuncheddu e altri” dovrà essere firmata da 50.000 persone, anche tramite la piattaforma governativa messa a disposizione per simili finalità, in modo tale da poter essere presentata alla Corte di Cassazione e, quindi, discussa in parlamento. “È bene portare questa proposta di legge in parlamento anche per aprire il dibattito in quella sede sul funzionamento della giustizia nel nostro Paese, infatti – ha sottolineato ancora Irene Testa – è bene ricordare che quello di Zuncheddu non è un caso isolato, ma purtroppo si parla troppo poco di queste situazioni. Ad esempio, abbiamo sentito tantissime storie di giunte e consigli comunali sciolti che poi si sono rivelate buchi nell’acqua, a dimostrazione del fatto che quando la giustizia non adempie, in qualche modo, ai suoi doveri, può toccare chiunque: il povero, il ricco, il professionista ed il politico”.
Per rimarcare quest’ultimo concetto, all’evento, moderato dal giornalista Roberto Greco, erano presenti anche le vittime di malagiustizia Beniamino Zuncheddu e Calogero Mannino (già parlamentare e Ministro della Repubblica, esponente della DC). Il primo ha raccontato come gli anni di carcere gli abbiano causato anche dei problemi di salute, tra cui una grave infiammazione alla cervicale derivata dall’umidità delle celle in cui è stato detenuto.
“Dopo trentatré anni ho trovato un mondo diverso da come lo avevo lasciato, per cui sto cercando di riadattarmi – ha dichiarato -. Grazie a Dio la mia famiglia mi è stata sempre vicina e continua ad esserlo, ma è importante dare un contributo a chi esce dal carcere. Io non avevo neanche i soldi per prendere un pullman e tornare a casa. Se ad una persona che esce dal carcere non dai modo di tornare a casa e sostenersi potrebbe commettere un furto o qualche reato per cui sarebbe costretto a rientrare in carcere. Quindi, è un cane che si morde la coda. Lo Stato deve intervenire subito, non possiamo essere costretti a fare l’elemosina. A me hanno tolto tutto, senza motivo”. “Io ho fatto due anni di ingiusta detenzione, infatti, sono stato sempre assolto – gli ha fatto eco Mannino -. Di fatto, mi sono ritrovato all’interno di un meccanismo di processi organizzati uno sull’altro per un totale di 24 anni. Tutto ciò è iniziato nel 1995 ed è finito nel 2020, ma il caso che abbiamo alla nostra attenzione mette umanamente in difficoltà, perché se dopo 33 anni di ingiusta detenzione una persona non può sostentarsi ciò deve porre un tema morale e civile ineludibile”.
Al convegno hanno relazionato anche Tommaso Calderone (deputato, capogruppo commissione giustizia, Fi), Basilio Milio (avvocato), Santi Consolo (garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti della Regione Siciliana), Lucia Parlato (ordinario Diritto processuale penale, Università di Palermo) e Giorgio Mulè, vice presidente della Camera dei Deputati, secondo cui “questa pdl interviene nel limbo in cui una persona viene assolta dopo la revisione del processo e la fase in cui interviene il risarcimento, ponendosi giustamente il problema della sopravvivenza, per questo motivo l’appoggio – ha riferito -. Inoltre, durante la scorsa legislatura tentai inutilmente di innalzare il tetto della quantificazione dell’indennizzo che è di 516 mila euro (pari ad 1 miliardo di lire), ma ritengo sia una ulteriore violenza quella di fissare un tetto massimo per questa tipologia di errori umani, che devastano la vita di una persona”.

