Inflazione, la Sicilia respira: nel 2024 rincari contenuti - QdS

Inflazione, la Sicilia respira: nel 2024 rincari contenuti

Michele Giuliano

Inflazione, la Sicilia respira: nel 2024 rincari contenuti

sabato 27 Luglio 2024

I dati di Cgia-Mestre: dopo l'annus horribilis del 2022, nel 2024 situazione sotto controllo secondo la Commissione Ue. Sono presenti 5 province isolane tra le 77 in Italia dove il rialzo dei prezzi ha inciso in maniera maggiore

PALERMO – Finalmente la morsa dell’inflazione sembra aver allentato la morsa. Se tra il 2022 e il 2023, secondo i dati Istat elaborati dall’ufficio studi della Cgia, l’associazione artigiani e piccole imprese di Mestre, la crescita nazionale dell’inflazione è stata esponenziale, nel 2024 la situazione è tornata finalmente sotto controllo. E i maggiori centri siciliani hanno seguito lo stesso andamento.

Inflazione, nel 2024 la situazione è tornata finalmente sotto controllo

Nei due anni di riferimento tra il 2022 e il 2023 gli aumenti hanno oscillato tra l’8% di Trapani e il 9,3% di Palermo, passando per l’8,9% di Catania e il 9,1% di Messina. Invece tra il 2023 e il 2024 l’andamento, seppure sempre in crescita, si è estremamente ridimensionato. I risultati migliori sono stati registrati a Trapani, dove la crescita si è limitata allo 0,3%; quindi, Messina, allo 0,6%, Catania allo 0,8%. In ultimo, Palermo e Siracusa, dove la crescita è stata dell’1,1%.

Risultati che si quantificano al meglio se li si mette a confronto con quanto rilevato nelle province più costose, come Siena, dove la crescita tra 2023 e 2024 è stata dell’1,9%, così come Brindisi e Venezia. Subito sotto, Benevento al +1,8%.

“Sono quasi tutte realtà territoriali con una grande vocazione turistica – scrivono dalla Cgia – che hanno subito importanti incrementi di spesa delle attività riconducibili ai servizi ricettivi, di ristorazione e alla persona. Un deciso incremento di costo ha interessato anche i trasporti, gli affitti di case/negozi e il carrello della spesa”. Poche le province che, al contrario, hanno segnato valori negativi: la migliore è Aosta, che scende dello 0,9%, seguita da Imperia, a -0,6%, e Campobasso, a -0,5%.

La crescita dell’inflazione sta rallentando

“Sebbene la crescita dell’inflazione stia rallentando – continua l’analisi della Cgia – la percezione dei consumatori italiani è che i prezzi dei beni e dei servizi stiano invece salendo”. In realtà alcune voci di spesa che incidono in misura importante sul bilancio familiare hanno subito delle contrazioni importanti. Negli ultimi 12 mesi, ad esempio, i prezzi dell’energia elettrica e del gas sono scesi rispettivamente del 29,2% e del 21,6%, rendendo così le bollette molto più leggere.

Anche i biglietti aerei hanno registrato una decisa diminuzione: quelli internazionali dell’11,8% e quelli nazionali del 6,9%. Per contro, è aumentato, in particolar modo, il prezzo delle patate, al +11,9%, i pacchetti vacanza nazionali, a +17,2%, e l’olio d’oliva, aumentato addirittura al +44,3%. La recentissima fiammata inflazionistica è costata alle famiglie italiane 4.039 euro in più su base annua.

Se nel 2021 la spesa media annuale delle famiglie italiane ammontava a 21.873 euro, due anni dopo la stessa è salita a 25.913 euro. Soprattutto per le famiglie meno abbienti, l’abitazione e l’alimentare sono le voci di spesa che hanno contribuito maggiormente ad incrementare le uscite complessive. Analizzando la serie storica dell’inflazione presente in Italia tra il 1948 e il 2023, si rileva come, tra il 1956 e il 1972, gli anni del cosiddetto “boom economico”, l’inflazione è stata mediamente del 4%.

Con lo scoppio della crisi energetica, tra il 1973 e il 1984 il caro vita medio è stato del 16%, mentre tra il 1998 e il 2002, periodo che “battezza” la nascita della Banca centrale europea e dell’Euro, è crollato all’1,5%. Solo tra il 2022 e il 2023, periodo post-Covid, l’impennata dei prezzi dei prodotti energetici e delle materie prime hanno re-infiammato l’inflazione che è tornata a salire a un tasso medio del 7%. Un valore, quest’ultimo, comunque di 11 punti inferiore alla media che avevamo nella seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso.

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