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Influenza K, dall’origine all’impatto sui vaccini: tutto quello che c’è da sapere

Influenza K, dall’origine all’impatto sui vaccini: tutto quello che c’è da sapere

Gli scienziati avvertono e ribadiscono come principale contromisura è la vaccinazione soprattutto per bambini, anziani e persone fragili

È stata individuata per la prima volta a New York, ma per ricostruirne le origini gli esperti devono tornare indietro di diversi mesi. È così che emerge la storia di quella che oggi viene chiamata variante K dell’influenza, soprannominata “super flu” per il ruolo determinante avuto nell’aumento dei contagi registrato in varie aree del mondo, Europa compresa. La nuova variante deriva da un’evoluzione del virus A H3N2, noto per la sua elevata capacità di mutazione.

Le prime segnalazioni

La più antica evidenza risale a giugno 2025, quando nella città di New York viene identificato il virus J.2.4.1, noto anche come sottoclade K, nell’ambito del programma di sorveglianza molecolare dei Cdc statunitensi sui viaggiatori in rientro. Già a luglio, la variante era stata rilevata anche nel Regno Unito, in Australia, in alcune zone dell’Africa e dell’Asia, oltre che negli Stati Uniti. Nei mesi successivi la diffusione è cresciuta rapidamente, fino a rendere la variante K dominante anche in Italia, nel contesto dei consueti aumenti stagionali delle infezioni respiratorie.

Un’analisi pubblicata su Jama fa il punto sulle caratteristiche della nuova variante, valutandone il potenziale rischio e le possibili strategie di contenimento. Gli autori spiegano che la variante K presenta numerose mutazioni nell’emoagglutinina, la proteina di superficie del virus, rispetto al ceppo incluso nel vaccino raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità per la stagione 2025-2026. Molte di queste modifiche interessano la regione di legame con il recettore e sono considerate antigenicamente rilevanti. I test sui sieri di persone vaccinate indicano infatti una ridotta capacità di neutralizzazione del sottoclade K.

Un ceppo con una lunga storia

Il virus A H3N2, da cui la variante K ha origine, circola nella popolazione umana dal 1968, anno della pandemia che causò circa un milione di morti nel mondo. Da allora è rimasto uno dei principali responsabili delle epidemie influenzali stagionali, insieme ai virus A H1N1 e B. Secondo gli esperti, H3N2 è il ceppo con il più alto tasso evolutivo e tende a provocare stagioni influenzali più severe, con un maggiore impatto soprattutto sugli anziani. In questo contesto, la variante K potrebbe determinare una riduzione dell’efficacia dei vaccini attuali e rendere la stagione influenzale particolarmente impegnativa.

Nonostante ciò, i dati disponibili suggeriscono che la vaccinazione continui a offrire una protezione significativa contro le forme gravi della malattia. Studi condotti nel Regno Unito indicano un’efficacia del 72-75% nei bambini, in gran parte vaccinati con spray nasale, e una protezione più contenuta ma comunque presente negli adulti (32-39%). Per questo gli esperti sottolineano l’importanza di aumentare la copertura vaccinale, soprattutto tra chi vive o lavora a contatto con soggetti fragili.

Diffusione globale e risposta sanitaria

L’esperienza dell’inverno australiano 2025, considerata un possibile indicatore per l’emisfero nord, ha mostrato una stagione influenzale di gravità moderata ma insolitamente lunga, con un’attività tardiva associata proprio alla variante K. A ottobre sono arrivate segnalazioni di un inizio precoce e intenso della stagione influenzale in Giappone, seguite da casi analoghi nel Regno Unito.

Tra maggio e novembre 2025, il sottoclade K ha rappresentato un terzo delle sequenze A H3N2 depositate nella banca dati Gisaid a livello globale e quasi la metà di quelle europee, segno di una crescente predominanza. Negli Stati Uniti, secondo l’ultimo aggiornamento dei Cdc, l’attività influenzale è in aumento soprattutto tra bambini e giovani adulti, con decine di migliaia di ricoveri e oltre mille decessi registrati.

Gli scienziati concludono che l’impatto finale della variante dipenderà dalla sua aggressività, dal livello di immunità della popolazione e dall’uso delle contromisure disponibili. Vaccinazione, riduzione dei contatti con persone malate e impiego tempestivo degli antivirali restano gli strumenti principali per contenere gli effetti dell’epidemia in corso.

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