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Informazione e deontologia: i doveri dei giornalisti e il regno dei cattivi influencer su social, blog e altro

Informazione e deontologia: i doveri dei giornalisti e il regno dei cattivi influencer su social, blog e altro

Si moltiplicano i soggetti che hanno scelto di determinare e pilotare il consenso ignorando qualsiasi regola etica. Servono strumenti culturali e tecnici per tutelare l’opinione pubblica e i cosiddetti “spiriti semplici”

L’Ordine dei giornalisti, attraverso un percorso tanto complesso quanto profondamente democratico, si è dato una serie di regole di natura deontologica che riguardano vari aspetti della professione, gli argomenti affrontati e le persone protagoniste.

Ciò su cui secondo me vale la pena soffermarsi è la deontologia di chi non ha regole deontologiche, su chi fa informazione senza doverne rispettare i canoni, chi interviene nella formazione dell’opinione pubblica potendosi permettere il “lusso”, ovviamente tra virgolette, di poter non usare un linguaggio politicamente corretto. Mi riferisco a quelli che vengono definiti genericamente influencer, ma anche a quelli che hanno fatto la scelta di disinformare, di determinarne e di pilotare il consenso e il dissenso politico e commerciale e persino di quanti, dotati di un semplice profilo social, fanno comunicazione senza doversi sottoporre a nessun codice che non sia quello penale.

Per capire di cosa stiamo parlando abbiamo l’esigenza di conoscere la dimensione di questo genere di fenomeno e di paragonarlo a quello della stampa e dell’informazione radio televisiva. Gli italiani che hanno un profilo social e sono attivi quotidianamente sono circa 44 milioni, pari a circa il 74% con una tendenza ad aumentare il tempo che vi si dedica, che al momento sfiora in media le due ore: di più per i giovani, di meno per gli altri.

Gli italiani che leggono i quotidiani, su carta o digitali, sono circa 11,7 milioni, corrispondenti al 22,5% della popolazione di età maggiore ai 14 anni. I telespettatori che fruiscono della televisione tradizionale sono invece circa 48 milioni, pari al 78% della popolazione. I radioascoltatori sono invece 35 milioni circa, pari a poco meno del 60% della popolazione.

Gli italiani usano i social soprattutto per informarsi, per intrattenersi e per acquistare e per rimanere in contatto con amici e familiari. In particolare, ad utilizzare i social per acquisire notizie è circa il 35% dei fruitori di internet, vale a dire circa di 20 milioni di persone. Le piattaforme maggiormente utilizzate dagli utenti di età compresa tra i 16 ed i 64 anni sono Facebook e Instagram, con poco meno del 90% di fruitori, ma Tik Tok è la piattaforma su cui si trascorre più tempo, circa 32 ore al mese.

Facendo due conti le posizioni dominanti sono sempre le stesse con il solito trio a spartirsi il podio: YouTube, 53,9 milioni di utenti mensili attivi; Instagram, 40 milioni di utenti mensili attivi; Facebook, 35,9 milioni di utenti mensili attivi; Tik Tok, 21,6 milioni di utenti mensili attivi Più indietro, ma sempre lì con il loro zoccolo duro di utilizzatori, ci sono Pinterest, 9,7 milioni di utenti mensili attivi; Linkedin, 6,1 milioni di utenti mensili attivi; X, 5,4 milioni di utenti mensili attivi.

I dati che però rappresentano davvero un pericoloso segnale ai fini della deontologia, professionale o semplicemente civile, sono quelli che riguardano i siti, i blog, le pagine, i canali, ecc. che si dedicano strutturalmente alla divulgazione di false notizie, di fake, di disinformatia, di deepfake, ecc… A darci una mano in questa ricerca è Butac (Bufale un tanto al chilo), un blog molto ben documentato che si occupa di far conoscere all’opinione pubblica le notizie false.

I siti di pseudo scienza, quelli che, per esempio, spiegano che la terra è piatta, sono circa 27; i siti di pseudo medicina e di alimentazione, che tanto successo ebbero durante la pandemia sono circa 16; i siti di pseudo giornalismo e pseudo politica, dai quali attingono a fasi alterne sia le varie maggioranze, sia le varie opposizioni sono circa 176; i blog di pseudo giornalismo sono 44; i siti che si occupano di notizie virali sono 6; i siti di pseudo satira sono 5; i siti complottisti, sempre di grande attualità, sono 26; i blog complottisti sono 37; le pagine bufalare, specializzate nella produzione e nella divulgazione di notizie verosimili ma del tutto false sono 4; le pagine che si occupano di inventare notizie sono 11; le pagine Facebook di notizie false sono 73; i canali YouTube e social esperti in bufale sono 20.

Tutti questi luoghi della galassia internet censiti alla data del dicembre 2024, sono ethics free, vale a dire sono luoghi in cui non vige nessuna regola deontologica e forse, purtroppo proprio per questa ragione, sono particolarmente frequentati e particolarmente creduti.

Alla luce di questa, per me, drammatica situazione, la domanda cui dobbiamo dare una risposta non è più se e a quali Codici deontologici dobbiamo rispondere nell’esercizio della nostra, sempre più difficile, professione, bensì come bisogna fare per imporli a chi può agire indisturbato, cioè a chi può permettersi di imbrogliare, disinformare o confondere l’opinione pubblica.

Come abbiamo visto ci troviamo di fronte non a qualche giornale più o meno influenzato dalla politica, più o meno vicino al potere, ma di un nutritissimo esercito che agisce quotidianamente per confondere gli “spiriti semplici” che nessuno pensa di evolvere o di fare evolvere. Ecco il tema di fondo: l’evoluzione degli spiriti semplici, la fornitura di idonei strumenti culturali e pure tecnici a coloro i quali sono assolutamente indifesi davanti a una simile guerra.

Concludo ponendo alcune domande retoriche: in quante classi scolastiche si leggono e si commentano i giornali, come si fece per un certo periodo anni addietro? Quanti temi vengono assegnati, nel corso delle attività curriculari, che siano ispirati da fatti di cronaca? Quanti giornalisti vengono chiamati a discutere con gli studenti di informazione, di fake news, di cronaca, ecc…?

E non posso esimermi dal formulare un’ultima domanda tanto provocatoria quanto retorica: non sarebbe meglio se i corsi di deontologia venissero rivolti, oltre che ai giornalisti, che magari le regole che disciplinano la loro professione le conoscono abbastanza bene, anche agli studenti, agli anziani, ai cittadini in genere, insomma ai lettori che sono il bersaglio di chi di regole non ne ha affatto?