Ingroia condannato per peculato, "Ora ricorrerò in appello" - QdS

Ingroia condannato per peculato, “Ora ricorrerò in appello”

redazione web

Ingroia condannato per peculato, “Ora ricorrerò in appello”

giovedì 12 Novembre 2020

L'ex magistrato simbolo del pool che indagò sulla trattativa Stato-mafia, condannato a un anno e dieci mesi di reclusione per rimborsi indebiti nel suo ruolo di commissario liquidatore della partecipata regionale Sicilia e-Servizi

Un anno e dieci mesi di reclusione.

L’ex pm Antonio Ingroia è in aula quando il gup legge il verdetto.

Seduto, stavolta, sul banco degli imputati, con l’accusa di peculato.

Per l’ex magistrato divenuto simbolo del pool che indagò sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, la Procura aveva chiesto la condanna a quattro anni.

Secondo i suoi ex colleghi, Ingroia si sarebbe appropriato di indennità e rimborsi non dovuti quando era liquidatore della società partecipata regionale Sicilia e servizi.

Il gup lo ha assolto con formula dubitativa dalla contestazione relativa all’indennità illegittimamente incassata e lo ha condannato, invece, per i rimborsi percepiti indebitamente.

L’ex Pm si dice “amareggiato” per quella che definisce “una giustizia che si è fermata a metà: mi ha assolto dall’imputazione più grave e mi ha condannato per un’altra che non sta in piedi” e annuncia: “farò appello”.

L’indagine che ha portato al processo nasce da una segnalazione della Corte dei conti relativa al periodo in cui, su indicazione dell’ex governatore Rosario Crocetta, era stato nominato amministratore della società regionale Sicilia e-Servizi.

L’inchiesta poggiava su due aspetti: quello dell’indennità di risultato incassata, a dire della Procura, illegittimamente dall’ex pm e quello dei rimborsi indebiti. Ingroia fu nominato liquidatore di Sicilia e servizi, società in-house della Regione a capitale interamente pubblico.

Per tre mesi, nel 2013, ricoprì l’incarico di liquidatore, ma invece di chiudere la società ottenne utili per circa 150mila euro. Secondo i pm, bypassando l’assemblea dei soci, l’ex magistrato si sarebbe liquidato in conflitto di interessi un’indennità di risultato di 117 mila euro.

Oltre all’aspetto dell’autoliquidazione, l’accusa ha puntato il dito contro l’ammontare dell’indennità. La legge, infatti, stabilisce che non possa essere superiore al doppio dello stipendio annuo lordo del manager.

Stipendio fissato per Ingroia in cinquantamila euro, ma che per il 2013, avendo l’ex magistrato lavorato solo tre mesi, era di molto inferiore. Peraltro la somma intascata dall’ex manager – il governatore Nello Musumeci non l’ha confermato nell’incarico – riduceva l’utile della società informatica della Regione a poco più di 33 mila euro. Sotto inchiesta, anche rimborsi per spese di viaggio. Dovuti solo per i trasporti, diceva una norma regionale, estesi a vitto e alloggio da Ingroia con una delibera che lui stesso ha firmato.

In venti mesi di viaggi tra Roma, città in cui viveva dopo aver lasciato la magistratura, e Palermo, dove ricopriva la carica di amministratore della società, solo di alberghi e ristoranti avrebbe speso 37 mila euro, tutti pagati dalla Regione.
Indebitamente, sostengono i magistrati che ne hanno chiesto la condanna e, visto il verdetto, anche il gup.

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