di Antonio Leo e Chiara Borzì
CATANIA – Per liberare le città dalle polveri sottili, i cui limiti sono stabiliti dal Dlgs 155/2010, sembra che l’unica soluzione possibile sia il blocco del traffico. Rispetto agli anni Settanta, periodo in cui per la prima volta “l’antidoto” delle domeniche ecologiche è stato sperimentato all’interno dei grandi centri, molto è cambiato. L’avanzamento delle tecnologie ha portato al perfezionamento delle autovetture alimentate a benzina o gasolio e, contestualmente, ha visto l’ingresso di veicoli a metano, ibridi o totalmente elettrici. Questo ha permesso un miglioramento delle condizioni che riguardano le emissioni? Nonostante lo stop imposto, in alcune zone d’Italia, ai mezzi ritenuti più inquinanti, i risultati sono stati decisamente scarsi.
DA DOVE NASCE IL BLOCCO DEL DIESEL
Il dieselgate ha azzerato la fiducia nella sostenibilità del gasolio, ma vietarlo del tutto non sembra almeno nell’immediato una strada percorribile. “Il futuro del motore a combustione interna (mci) ad accensione per compressione (secondo il ciclo Diesel) è stato compromesso nel 2015 a seguito dello scandalo esploso negli Stati Uniti – spiega al QdS Rosario Lanzafame, ordinario di Sistemi per l’energia e l’ambiente all’Università di Catania -. Grazie al noto imbroglio i motori a gasolio apparivano in grado di rispettare brillantemente i test sulle emissioni, ma in realtà nelle reali condizioni di funzionamento superavano, su strada, fino a 40 volte il limite imposto dalla legge”. Sono passati cinque anni, ma i Diesel sembrano destinati a circolare ancora per almeno un decennio. “Conseguentemente – continua Lanzafame – pur prevedendo una flessione della domanda di motori a gasolio in alcuni paesi europei, la produzione mondiale di motori Diesel è destinata a durare ancora per molto. Basti pensare a quei territori e contesti non metropolitani (e poco urbanizzati) dove è impensabile realizzare ‘Reti Infrastrutturali Green’: qui i mci Diesel resisteranno alla concorrenza dell’elettrico per alcuni decenni ancora”.
Intanto, però, l’Italia deve fare i conti con due procedure di infrazione (la 2015/2043 e la 2014/2147) aperte da Bruxelles per la cattiva qualità dell’aria che, secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente, provoca nel nostro Paese il più alto numero di morti premature in Europa: circa 70 mila all’anno, di cui 59 mila a causa del particolato fine (Pm 2,5) e il resto per via di “biossidi di azoto” e “ozono”, veleni che vengono liberati nell’aria principalmente dai gas di scarico delle auto, dai riscaldamenti delle abitazioni, nonché da industrie e centrali termoelettriche.
Si tratta di procedimenti che stanno andando avanti, tanto che la Commissione europea ha già deferito l’Italia alla Corte di giustizia e la condanna appare alquanto scontata. Nel mirino c’è anche la Sicilia, sotto accusa per i livelli di inquinamento nelle aree industriali e nei grandi centri dell’Isola, come Palermo e Catania. Tra i responsabili ci sono certamente anche le auto diesel di vecchia generazione, ma ha senso bloccarle per migliorare la qualità dell’aria? A quanto pare no. Nelle città del Nord e a Roma, dove la misura è stata applicata, i risultati sono scarsi mentre sono parecchi i disagi subiti dai cittadini che si sono visti vietare la circolazione anche a veicoli recenti come quelli immatricolati con standard emissivo “Euro 6”. Dopo il primo giorno di blocco nella Capitale, le centraline hanno continuato a superare il limite di legge di 50 microgrammi per metro cubo. Anche perché non sono solo le automobili a inquinare. Secondo uno studio condotto da “Life PrepAir”, commissionato dalla regione Emilia-Romagna, ha un impatto nettamente superiore il riscaldamento delle abitazioni: nelle città del Nord la metà delle polveri sottili è prodotto da caldaie a legno e pellet.
NON È TUTTO ORO QUELLO CHE È ELETTRICO
Inquina più l’auto alimentata a benzina o a gasolio? Premesso che i veicoli non sono tutti uguali (paragonare una Panda a diesel con una Ferrari a benzina è ridicolo), per rispondere a questa domanda occorre dividere la storia delle auto in due periodi storici: prima e dopo del Dieselgate. È certamente probabile che tra i veicoli immatricolati fino al 2015 (e negli anni immediatamente successivi) – a parità di motore – risultino più inquinanti i motori Diesel. Ma dopo cinque anni la situazione appare ribaltata. Recentemente l’associazione “Altroconsumo” ha effettuato dei test sulle emissioni di inquinanti e CO2 delle auto. Le analisi sono state condotte insieme alle principali organizzazioni europee di consumatori e ad Adac, uno dei maggiori automobile club europei, ed è saltato fuori che “le emissioni di inquinanti dei motori diesel sono diminuite molto, proprio per consentire alle auto che hanno questo tipo di motore di superare le più stringenti prove di omologazione. La situazione tra diesel e benzina è quindi risultata quasi ribaltata. Oggi un buon motore diesel inquina meno di un equivalente a benzina”. Lo si può riscontare anche andando a vedere i dati dichiarati nei nuovi listini delle concessionarie automobilistiche, il che rende del tutto illogico e ipocrita vietare i veicoli di nuova generazione.
Anche perché non è vero che attualmente veicoli elettrici ed ibridi siano a impatto zero. “Le vetture ibride – si legge ancora nell’indagine di Altroconsumo – sono risultate migliori solo se usate in città mentre sui percorsi extraurbani inquinano quanto un’auto a benzina visto che l’apporto del motore elettrico diventa trascurabile. Per quanto riguarda le auto elettriche, le cui emissioni sono pari a zero, dobbiamo fare riferimento all’inquinamento legato alla produzione dell’elettricità che le alimenta: se arriva da combustibili fossili non vi è un vantaggio per l’ambiente”.
Insomma le auto elettriche se non alimentate da fonti rinnovabili non hanno alcun senso. “Occorre far chiarezza – avverte, infatti, il professore Lanzafame – sulla sostenibilità della trazione elettrica rispetto agli effetti ambientali del motore a combustione interna a gasolio. Certamente la costruzione di una vettura a trazione full electric impatta molto meno sull’ambiente in termini di produzione di gas climalteranti, tuttavia occorre che l’energia giornaliera per la ricarica del pacco batterie di accumulo, sia esclusivamente prodotta da fonte rinnovabile per tutta la vita della vettura e soprattutto occorre pianificare, in maniera accurata, il riutilizzo, il riciclo e lo smaltimento intelligente di sistemi di accumulo esausti e degli apparati di controllo e sviluppo della complessa infrastruttura energetica stradale”.
Il gasolio “bio” deriverà al 100% dagli oli esausti della ristorazione
Il professore Lanzafame: “Così eliminiamo il problema dello smaltimento”
CATANIA – Che sia necessario “svecchiare” il Parco auto italiano non ci sono dubbi. Secondo una denuncia dell’organizzazione ambientalista “Transport&Environment” in tutta Europa attualmente circolano 51 milioni di “diesel sporchi”, cioè con standard emissivi “ante Euro 6D-Temp”. Il nostro Paese si trova al quarto posto con 6,6 milioni di vetture. In Sicilia la situazione è bene peggiore: considerando l’intero parco auto, la quota di auto a standard emissivo Euro 0, cioè la peggiore in assoluto, nell’Isola è elevatissima, considerando che Catania arriva addirittura al 20% a fronte di un esagerato rapporto tra mezzo e abitante (numero di autovetture per mille abitanti) che risulta essere 668,2, molto di più di Milano (427,8). Tante auto inquinanti anche a Palermo e Messina, con entrambi i centri che superano il 13%. In generale, lo dicono i numeri dell’Osservatorio Autopromotec, che si basa su dati dell’Aci, circa 15% del totale del parco auto isolano è ad euro 0, mentre tra euro 0 ed euro 3 si trova più del 50% del totale. Ancora minima la quota relativa ai veicoli elettrici, ibridi, a metano e a gpl che ammontano a poco meno di 150 mila.
Tralasciando in questa sede il problema dell’eccessivo numero di mezzi privati in circolazione e la conseguente necessità di rafforzare nelle città parcheggi scambiatori e trasporti pubblici (misure che sì hanno un senso e non penalizzano i singoli), una soluzione per una parte delle vecchie auto in circolazione potrebbe essere quella di “cambiare” il combustibile. Non è fantascienza, ma una realtà tutta italiana che vede già l’Eni impegnata a Venezia e Gela con due bioraffinerie che trasformano gli oli vegetali esausti e quelli di frittura (provenienti per esempio dalla ristorazione), ma anche grassi animali e alghe, in combustibile “biodiesel” di alta qualità.
Quest’ultimo, infatti, può essere miscelato con ogni tipo di gasolio e può essere usato per l’alimentazione dei moderni motori Diesel. Solo quelli meno recenti potrebbero subire una degradazione dei tubi e dei giunti in gomma ma, secondo alcuni studi, le auto prodotte dopo il 1992 non dovrebbero riscontrare nessun tipo di problema. Si ritiene che questo combustile, rispetto al gasolio tradizionale, riduca le emissioni nette di ossido di carbonio del 50%, le polveri sottili del 65% e il biossido di carbonio del 78%. Di contro produce una quantità maggiore di ossidi di azoto, ma con i nuovi motori Diesel anche questo problema verrebbe ovviato da scarichi con catalizzatori particolari.
Gli ambientalisti più accaniti, però, hanno storto il naso sulla effettiva sostenibilità del biodiesel, in quanto per produrlo attualmente si usa soprattutto l’olio di palma, contribuendo così alla distruzione delle foreste. Obiezione che è stata mossa anche all’Eni, a cui recentemente l’Antitrust ha comminato una multa di 5 milioni di euro per pubblicità ingannevole sul “diesel bio, green e rinnovabile”. Accuse a cui l’azienda del cane a sei zampe aveva già risposto in occasione dell’inaugurazione dell’impianto gelese, lo scorso autunno, assicurando che l’olio di palma usato nello stabilimento è “certificato”, nel senso che viene prodotto “nel rispetto della biodiversità e senza provocare la distruzione delle foreste”. Inoltre l’Eni punta a sostituire l’olio vegetale con gli olii esausti: l’obiettivo è “avviare entro il secondo semestre del 2020 l’impianto che ci consentirà di diventare nel giro di pochi anni ‘palm oil free’”. Insomma, è evidente che nel momento in cui il biodiesel deriverà solo dagli oli di scarto, cioè da rifiuti, nulla più si potrà dire contro la sua sostenibilità.
“L’effetto è simile al blending per i whisky – spiega ancora il professore Lanzafame – cioè un mix di prodotti in grado di rendere un combustibile sempre più efficiente che con gli anni sostituirà le vecchie derivazioni della raffinazione tradizionale. Il Dipartimento d’Ingegneria Civile dell’Università di Catania possiede un apparato sperimentale che consente di convertire l’olio esausto proveniente dalla ristorazione in biodiesel. Trasformiamo il waste cooking oil in biogasolio, anche con un residuo di glicerina che è alla base delle creme di bellezza. Ne deriva un prodotto con caratteristiche commerciali analoghe al gasolio da autotrazione e del tutto comparabile con le proprietà di un gasolio biologico. Con il trattamento degli olii esausti da cucina (trans-esterificazione), abbiamo eliminato totalmente il problema dello smaltimento, facendo di una necessità una virtù”.