Insediare in Africa scuole e industrie - QdS

Insediare in Africa scuole e industrie

Carlo Alberto Tregua

Insediare in Africa scuole e industrie

sabato 17 Agosto 2019

La questione degli immigrati, normata con il Regolamento di Dublino (n.604/2013), prevede l’onere a carico dei Paesi di primo sbarco dell’identificazione, dell’assistenza sanitaria e sociale, nonché dell’alloggio. Con esso sono stati onerati in primo luogo l’Italia e, in misura minore, la Grecia; qualcosa ha fatto Malta, quasi niente Francia e Spagna che hanno ermeticamente chiuso i loro confini.
Nel colloquio tra la presidente eletta della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen – che prenderà possesso dell’incarico il prossimo primo novembre – e il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è stata affrontata la questione relativa alla modifica di detto Regolamento. Essa dovrà essere riportata nelle sedi istituzionali per trovare una soluzione all’attuale insostenibile situazione.
Nelle more che ciò accada, gli immigrati continuano a sbarcare nel nostro Paese alla spicciolata con barchini che portano qualche decina di persone per volta. Non sono tante, però gravano sui servizi di assistenza.


La questione della povertà in Africa è immensa e non risolvibile in tempi brevi. Ci vogliono piani di lungo periodo, decennali o ventennali, che però devono cominciare la loro attuazione già dal prossimo anno.
Non è certo pensando di accogliere centomila o un milione di Africani che si possa risolvereun’emergenza che riguarda tutti i circa 1,3 miliardi di abitanti di quel Continente.
La sfida va, dunque, affrontata in termini di crescita economica e sociale. Come? Con due strumenti fondamentali: l’istruzione e le attività economiche. La prima dovrebbe essere frutto di una solidarietà internazionale, messa in atto da tutti i Paesi del mondo a economia avanzata, che dovrebbero impiegare risorse proporzionate al loro Pil per insediare, nell’immenso territorio africano, nazione per nazione, Stato per Stato, migliaia e migliaia di scuole e università.
Non certo scuole e università in quanto tali, ma enti a completa autonomia economica, finanziati dalle nazioni-matrici, per ospitare gli allievi.
Sarebbe impensabile insediare scuole senza il supporto economico, continuo, privo di interruzioni e tentennamenti.

Scuole e università dovrebbero diventare le punte di diamante di un’azione internazionale, nelle quali valorizzare gli abitanti delle zone attorno ad esse, che con la formazione potrebbero crescere, sviluppare la loro mentalità e imparare i meccanismi per l’avviamento di attività economiche.
In tali scuole e università si dovrebbero formare le competenze che sono il vero patrimonio dell’avvenire. Infatti, solo le nazioni che hanno forti competenze possono diventare competitive e auto-propulsive, con la conseguenza di raggiungere l’autonomia economica indispensabile affinché un popolo non dipenda da altri popoli, debellando in qualche misura povertà e ignoranza.
Ovviamente scuole e università avrebbero all’inizio tutti insegnanti stranieri, opportunamente selezionati e ben pagati, per andare a trascorrere qualche anno in quei territori all’interno delle strutture funzionali, che costituirebbero l’esempio per quelle popolazioni.


L’altro asse dello sviluppo autoctono è quello delle imprese da insediare in quei territori, dove c’è tanta manodopera non qualificata e anche tanta povertà. Calzedonia, per esempio, ha insediato due fabbriche con oltre mille dipendenti in Etiopia, circondando l’insediamento industriale con centri di assistenza sanitaria, asili nido, parchi divertimento ed altre strutture sociali.
L’azienda italiana ha trovato una forte disponibilità locale nelle giovani donne, entusiaste dall’apprendimento di mestieri che non conoscevano e felici per essere entrate in una sorta di enclave civile, che ha nettamente staccato il loro modo di vivere attuale da quello precedente. Ecco, l’esempio che dovrebbe essere moltiplicato per migliaia o decine di migliaia di volte, ma che invece non viene utilizzato.
Altra importante questione riguarda le materie prime che oggi vengono indecorosamente sfruttate dalle compagnie occidentali, depauperando quei territori.
Scuole, imprese e materie prime sono i tre assi che andrebbero messi in atto per la soluzione del problema Africa, ma che vengono sistematicamente ignorati.

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