Osservasalute: 5,6 Ivg ogni mille donne nel 2017. Valori più bassi a Bolzano (4,8), Umbria (5,2), Calabria (5,2) e Veneto (5,3). Incidenza più elevata nella fascia tra i 25 e 29 anni (8,3 casi ogni mille donne) e tra i 30 e i 34 anni (8,2)
PALERMO – In Sicilia si ricorre in minor misura all’interruzione volontaria di gravidanza.
Secondo i dati contenuti all’interno del “Rapporto Osservasalute 2018 – Stato di salute e qualità dell’assistenza nelle regioni italiane”, nella nostra regione si osserva il quinto tasso di abortività volontaria più contenuto a livello nazionale: infatti, nel 2017 si parla di 5,6 casi ogni mille donne di età compresa tra 15 e 49 anni. Valori inferiori si osservano nella provincia autonoma di Bolzano (4,8), Umbria (5,2), Calabria (5,2) e Veneto (5,3). Il tasso medio osservato a livello nazionale è pari a 6,7.
Il ricorso all’aborto volontario è regolato dalla Legge 194/1978. Qualsiasi donna per motivi di salute, economici, sociali o familiari può richiedere l’Interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) entro i primi novanta giorni di gestazione. Oltre questo termine, l’Ivg è consentita solo per gravi problemi di salute fisica o psichica.
Nell’Isola, l’incidenza maggiormente elevata si osserva nelle fasce d’età compresa tra 25 e 29 anni (8,3 casi ogni mille donne), tra i 30 e i 34 anni (8,2) e tra i 20 e i 24 anni (7,4). Minore è l’incidenza nelle classi di età tra i 45 e i 49 anni (0,3) e tra i 40 e i 44 anni (3,2). A livello complessivo si assiste ad una diminuzione del ricorso allo strumento: basti pensare che nel 2004 in Sicilia si contavano quasi otto aborti ogni mille donne.
Questa diminuzione rappresenta un segnale positivo dell’aumentata circolazione dell’informazione sulla procreazione responsabile e dell’attività dei servizi.
Con riferimento alle terapie anestesiologiche e farmacologiche adottate, in Sicilia si assiste ad un ricorso più marcato all’anestesia generale (pari al 66,5% delle interruzioni effettuate, contro una media nazionale del 59%). In linea con il valori rilevati a livello nazionale è il ricorso all’analgesia (2,7% in Sicilia e 3% in Italia) e alla sedazione profonda (rispettivamente 16,7% e 16,6%). Mentre appare molto più contenuto il ricorso all’anestesia locale (0,5% contro il 3,4%) e alla procedura farmacologica (rispettivamente 14,1% e 19,3%).
L’uso dell’anestesia locale appare ancora troppo ridotto, nonostante sia la pratica più raccomandata a livello internazionale poiché minimizza i rischi per la salute della donna e presenta un impegno minore del personale sanitario e delle infrastrutture, quindi anche costi inferiori.
Nel 13,5% dei casi si deve attendere più di ventuno giorni prima di ottenere la prestazione, incidenza percentuale superiore a quella osservata in Italia (10,9%).
In Valle d’Aosta e Umbria i peggiori risultati (rispettivamente 30,2% e 21,7%). I tempi di attesa sono un indicatore di efficienza dei servizi: infatti, i ritardi possono indicare difficoltà nell’applicazione della disposizione.
Anche la percentuale degli interventi effettuati a 11- 12 settimane di gestazione può essere un indicatore della qualità dei servizi offerti, poiché il limite massimo per ricorrere allo strumento è fissato in novanta giorni. In questo caso, in Sicilia si osserva un valore più contenuto rispetto a quello medio italiano (in ordine 11,3% e 12,4%).
Infine, sempre con riferimento all’efficienza dei servizi, la presenza di una quota consistente di personale obiettore può inficiare sull’espletamento dell’intervento. In questo caso, in Sicilia riscontriamo la terza incidenza percentuale maggiormente elevata in Italia (83,2%). Un tasso superiore di obiettori di coscienza si osserva solo in Basilicata (88,1%) e nella provincia autonoma di Bolzano (85,2%).