Abbiamo scambiato due chiacchiere con Carolina Costa, l'atleta messinese che ha conquistato il bronzo nei +70 kg classi B1-B2-B3 assemblate alle recenti Paralimpiadi di Tokyo 2020.
Carolina Costa ha conquistato il bronzo nei +70 kg classi B1-B2-B3 assemblate alle Paralimpiadi di Tokyo 2020. La prima medaglia olimpica per la judoka siciliana, ma anche una medaglia storica che non arrivava nel judo da ben 29 anni.
Figlia del maestro siciliano di judo Franco Costa e dell’ex atleta olimpica di lotta libera Katarzyna Juszczak, Carolina Costa ha iniziato la sua carriera di judoka Under-23 in un modo molto promettente.
Nel 2016, la judoka azzurra aveva 22 anni e le viene diagnosticato il cheratocono (una malattia degenerativa che se presa in giovane età può portare alla cecità progressiva). Da atleta paralimpica conferma gli ottimi risultati degli esordi e, a livello internazionale conquista una medaglia di bronzo ai campionati del mondo e una medaglia d’oro ai campionati europei che le danno il lascia passare per le Paralimpiadi di Tokyo 2020.
Dopo il trionfo a Tokyo 2020, Carolina Costa è tornata a Messina, nella sua città, dove ha ricominciato senza sosta ad occuparsi degli allievi nella sua palestra “Judo Franco Costa”.
Medaglia di bronzo nel
judo dopo ventinove anni: è trascorso quasi un mese. Come la sta vivendo?
“Non mi sono fermata un attimo tornata da Tokyo. Qualche notte fa mi sono soffermata a pensare a cosa veramente ho conquistato. È qualcosa di grande. Ed è vero che il 29 settembre sarà un mese, ma è come se fosse ieri la mia vittoria sul tatami di Tokyo”.
Ha dedicato la medaglia a
suo padre e alla sua famiglia. Suo padre era un judoka, sua madre praticava la
lotta. Non è sbagliato dire che lei è “figlia d’arte”.
“Ho dedicato la medaglia a mio padre che non c’è più da 15 anni. Mio papà è scomparso nel momento in cui io diventavo agonista perchè nel judo a dodici anni si entra nella categoria degli agonisti.
Per una malattia, papà mi
ha abbandonata nel momento dello sviluppo judoistico. Lì dove si fa il salto di
qualià. Io, però, non ho mai mollato. Ho cercato di andare avanti e combattere
e vincere per lui.
Provengo da una famiglia di judoka. Mia mamma è anche lottatrice. Ha partecipato a due Olimpiadi: una a Barcellona nel 1992 nella Nazionale della Polonia e ad Atene nel 2004 con la lotta. Mio papà un grande maestro anche se non ha fatto Olimpiadi, però ha fatto l’Accademia di Judo che è abbastanza prestigiosa. Alle spalle una palestra centenaria”.
Quali sono i consigli che
da sportivi i suoi genitori le hanno dato?
“Mio papà la prima cosa che mi ha insegnato è l’umiltà in questo sport e nella vita in generale. L’umiltà è alla base. Diventare campioni, ma umili sempre. Quello ripaga. Dopo la sua scomparsa, mio padre mi ha dato la forza e la costanza che lo sport e la vita ti chiede. Dopo ventisette anni (perché si può dire che sin dalla nascita pratico il judo) sono riuscita a portare a casa ciò che un’atletica desidera: una medaglia olimpica”.
La sua vita cambia a 22
anni quando le viene diagnosticato il cheratocono. In cosa è cambiato
l’approccio al judo a livello mentale e fisico?
“Tutti pensano che ci siano dei cambiamenti, in realtà no. All’inizio può cambiare come si reagisce alla malattia. Il cheratocono che è una malattia della cornea presa in tarda età non ha molte soluzioni se non un trapianto della cornea. Passati i primi due anni di malattia, me ne sono fatta una ragione. Il judo è stato un salvavita. Con o senza disabilità, nella pratica il judo è la stessa cosa. Vi è una sola differenza: si parte da subito con le prese perché c’è bisogno di un primo contatto.
Per il resto non è cambiato niente: i sacrifici sono gli stessi. Il mio sogno è rimasto sempre vincere un’Olimpiade che poi si è trasformata in una Paralimpiade. Non è cambiato niente, anzi ho ancora più voglia di fare, di vincere e di dimostrare che anche con una disabilità si può ottenere tutto”.
Cosa consiglierebbe a chi
vorrebbe praticare il judo?
“Il judo è per tutti. La parola judo è molto grande: racchiude molti aspetti. Nella mia palestra che ho a Messina, denominata Judo Franco Costa in onore di mio padre, prendo i bambini che hanno tre anni perchè il judo insegna tutto, anche a sapersi muovere, camminare e la coordinazione. È la base di tutto. Se si ha passione per questo sport, si inizia un percorso da agonista. A prescindere dall’’agonismo, invito tutti a praticare questo sport che può essere una valvola di sfogo”.
L’attenzione dei media
per lei quanto è stata importante?
“Sui media bisogna lavorarci perchè ho notato che con i Paralimpici c’è poca visibilità. Sono importanti perchè fanno scoprire al resto del mondo le nostre storie, chi siamo e invita a chi si tiene nascosto ad uscire fuori e ad emergere grazie proprio alle nostre storie. Possiamo essere uno spunto o la forza per qualcuno. Più emergiamo, più lo sport si fa sentire, più i media ne parlano più si può avere un mondo migliore e fatto di sport”.
Vi hanno definiti
supereroi…lei si sente una supereroe?
“Ho letto che dicevano che gli olimpici sono eroi e i paralimpici supereroi. Se posso invogliare qualcuno a praticare sport o essere uno spunto, allora sì sono una supereroina. Se riesco a fare del bene, allora sì”.
Mi racconta chi è
Carolina fuori dal tatami?
“Fuori dal tatami ci sto ben poco (nda sorride). Ho una palestra in cui insegno ai bambini che sono la mia passione. Forse l’insegnamento è una dote di mio padre. Quindi la mia giornata è abbastanza ricca.
Mi è sempre piaciuto disegnare. Ho un diploma in grafico pubblicitario ma per il problema alla vista non ho potuto continuare. Scoperta la malattia, mi sono dedicata a me stessa e ai miei allenamenti mattutini. Nel pomeriggio dedico tutta me stessa agli altri e ai bambini. Cerco di esserci per gli altri nello sport. Sto cercando con l’università di laurearmi in Scienze motorie. A 27 anni tutta la vita dedicata allo sport che viene prima di tutto. Casa mia è la mia palestra”.
Senta, ci sono delle
paure che lei ha?
“Sembrerà banale, ma la paura che ho è quella con me stessa. Mi faccio prendere dalle ansie, dalla paura di non farcela. Da questo punto di vista, sono debole e ho bisogno di qualcuno come il mio allenatore che mi dica che ce la posso fare, che sono forte e che mi sono allenata bene. Ho bisogno di sicurezza”.
E la pandemia?
“Ha influito moltissimo a livello mentale. Avevo paura di rimanere contagiata. Mi ha un po’ distrutta perché bastava un contagio e io mi ero giocata tutte cose. Evitavo qualsiasi cosa. Facevo solo casa palestra e palestra casa. Dal punto di vista fisico, ho sempre avuto modo di allenarmi, tranne quando c’è stata la prima quarantena”.
Essere siciliana è un
valore aggiunto per lei?
“Io amo la mia città (nda, Carolina Costa è di Messina) e si sono ricordati di me adesso che ho vinto la medaglia. Per me l’essere siciliana è qualcosa che ho dentro. È un orgoglio. Vorrei essere più considerata perchè ho dato molto alla Sicilia e a Messina con i miei risultati sportivi. Sono stata ripagata poco e niente. Io continuo ad amare la mia città e la mia regione. Io quando vinco, vinco anche per i messinesi e per i siciliani tutti”.
Quali sono i progetti
futuri?
“I progetti futuri sono i mondiali il prossimo anno e da lì riparte la scalata per Parigi 2024 perchésarà gara che porterà punteggio di qualifica per le prossime Paralimpiadi. Da adesso si azzera tutto”.
Mi sembra che Parigi 2024
è un bel sì!
“Si! Come ho detto sempre, ne abbiamo aggiunto una a Tokyo ma ne abbiamo tolto uno a Parigi. Tre anni volano”.
Sandy Sciuto