La storia di Antonio, abusato per anni a Enna
Incontro Antonio in un centro commerciale. È in piedi, con lo sguardo rivolto verso la fine della galleria. Mi avvicino e mi presento. è visibilmente teso, come se stesse cercando di capire che tipo di persona si trovasse di fronte o come se si stesse preparando a tirare fuori per l’ennesima volta la sua storia. Ci allontaniamo dalla confusione e ci sediamo su una panchina isolata del parcheggio, sotto la luce di un lampione che a stento ci permette di guardarci in faccia. Prima di iniziare l’intervista va fatta una doverosa premessa: attualmente c’è un processo di primo grado in corso, pertanto la testimonianza che segue va presa come una posizione di parte (abbiamo chiesto replica all’accusa, ma ad oggi non abbiamo ricevuto risposte).
Antonio, vorrei che mi raccontassi la tua vicenda personale…
“Tutto ha inizio quando ho tra i 14 e i 15 anni. Frequentavo la parrocchia di San Giovanni Battista ad Enna, dove ho preso i sacramenti e mi sono approcciato all’Azione Cattolica. Lì conobbi meglio Don Giuseppe Rugolo che all’epoca era ancora seminarista. Non era un educatore ma coordinava le attività di pastorale giovanile. Faceva spesso degli incontri con noi, era affabile e ci invitava a confidarci con lui perché ci avrebbe compreso di più rispetto al parroco, molto anziano. Si poneva come un punto di riferimento per conversazioni private. Opportunità che ho colto sia per una mia eventuale scelta vocazionale sia per la mia identità sessuale. Ci furono diversi incontri tra me e lui, fino a quando, all’età di 16 anni (nel 2009), ci fu il primo abuso. Mi sono ritrovato totalmente isolato nella scuola dove facevo il grest, anche se era pomeriggio e c’erano i ragazzi nel cortile. Non ho chiesto aiuto per un senso di vergogna, di pudore. Ho un ricordo nitido: ero pietrificato”.
E il giorno dopo?
“Iniziai a prendere le distanze ma volevo evitare di dare nell’occhio con la mia assenza. Frequentai il grest più sporadicamente e lo incontrai altre volte. Lui cominciò ad addolcirmi, anche durante gli abusi successivi.Per me era destabilizzante: mi isolava dagli altri e nel momento in cui mi allontanavo tentava di denigrarmi”.
In quei giorni sei riuscito a confidarti con qualcuno?
“In parrocchia mi trovavo isolato perché Rugolo riusciva a creare una rete di collaborazione e fiducia che mi induceva a pensare che se avessi parlato nessuno mi avrebbe creduto. Ricordo una sensazione di paura nei suoi riguardi perché è stato sempre fisicamente più grande rispetto a me, ma anche per il suo modo di riuscire a condizionare gli altri. Ho dovuto elaborare tutto nel tempo e trovare il modo per potermi distaccare”.
Questi abusi quanto sono durati?
“Dal 2009 al 2013. Nel frattempo, lui ha ricevuto tutti gli ordini: dal diaconato al presbiterato e diventò sacerdote nell’aprile del 2013”.
E in quel momento denunci?
“Nel 2014 denunciai l’accaduto al parroco di San Giovanni Battista perché messo alle strette dai miei genitori, le prime persone con cui mi sono aperto. All’inizio si è dimostrato disponibile ma poi propose un incontro tra me, lui e Rugolo. Incontro organizzato per non farmi sembrare credibile: minimizzò le violenze che avevo subito, entrando nello specifico degli atti sessuali. Secondo lui non c’era stata nessuna violenza. Dopo quest’incontro, nonostante mio padre cercò di convincermi di denunciare all’autorità giudiziaria, io presi del tempo. Cominciai a perdere peso e ho vissuto malissimo”.
Tale situazione come ha influenzato il tuo rapporto con la Chiesa?
“In quei momenti avevo chiuso i miei rapporti con la Chiesa, ma ho sempre sentito l’esigenza di recuperare la mia spiritualità. Diedi fiducia al mio attuale parroco, nella Chiesa di Sant’Anna, che mi ha accolto nonostante gli avessi raccontato l’accaduto. Lui prese i contatti con il vescovo per presentargli la denuncia, che ho deposto alla diocesi il 24 dicembre 2018. Cinque anni dopo l’ultima violenza”.
Non troppo tempo rispetto ad altre storie…
“Molti condannano questo intervallo di tempo. Purtroppo, il vescovo, che già dal 2016 era a conoscenza del caso, prendeva tempo. Dopo quel primo contatto, fece passare un anno prima di incontrare i miei genitori e un altro anno per sottoporgli una relazione da sottoscrivere. Dopo diverso tempo l’ho incontrato e gli chiesi udienza, ma dice che non aveva capito chi fossi” (ma il vescovo ha respinto ogni accusa su questi punti, nda).
La denuncia l’hai presentata in contemporanea sia alla diocesi che alla polizia?
“Nel 2018 presento la denuncia al vescovo e nel 2019 inizia la investigatio previa. Fui convocato al tribunale ecclesiastico di Palermo, dove fui sentito solo io, un’altra persona e il parroco di San Giovanni Battista. Don Giuseppe Rugolo non si presentò perché a livello ecclesiastico hanno la possibilità di farlo. Non ho mai avuto accesso alle carte dell’indagine anche quando il vescovo mi disse che si era conclusa. Compresi che dietro c’era ben altro. Anziché di ottenere giustizia tutto si è risolto a parlare di denaro”.
Quest’offerta come ti è arrivata?
“Dal mio avvocato canonista appresi che la vicenda poteva concludersi chiedendo il provvedimento nei riguardi di Rugolo con la disponibilità da parte della diocesi di pagare un indennizzo. Non si parlava più di un provvedimento ecclesiastico ma di un accordo extragiudiziale che doveva concludersi con un pagamento in cui dovevo impegnarmi al silenzio (ma anche su questo punto la Diocesi ha smentito, nda). Nel frattempo Rugolo era frequentemente ad Enna. Io ero totalmente destabilizzato: vedevo la sofferenza che c’era in casa, in periodo di lockdown. Scrissi anche una lettera al Papa. Confidavo in una risposta e in una risoluzione dalla Santa Sede, cosa mai accaduta. Così denunciai alla Polizia nel dicembre 2020. Sono iniziate le indagini e ci fu l’arresto del sacerdote ad aprile 2021 (per la precisione si tratta di domiciliari, poi revocati a giugno scorso, nda). Poi iniziò il processo”.
Cosa fai oggi?
“Oggi sono archeologo e sto finendo il post-laurea. Gli studi, insieme allo sport, sono le cose che mi hanno permesso di non perdermi totalmente. Mi occupo anche di attività culturali e cerco di inserirmi nel mondo del lavoro dando un contributo alla mia comunità attraverso la politica e la cultura. Non è semplice. Nella mia città c’è stata la caccia alla vittima finché non decisi di raccontare la mia storia. In quel momento ho visto una parte dei miei concittadini vicini, anche per la stanchezza per come la Chiesa gestisce questi casi. Nello stesso tempo, le difficoltà le riscontri: ti stai mettendo contro un sistema molto radicato nel nostro territorio. Il Comune non si è nemmeno costituito parte civile al processo. Quest’anno mi sono candidato alle regionali e ho sentito il giudizio delle persone: vorrei solo dare un contributo per migliorare il mio territorio, senza sfruttare le mie situazioni”.
Vuoi fare un appello a chi in questo momento non trova il coraggio di andare a denunciare gli abusi che ha subito?
“Comprendo quanto sia difficile e che ognuno deve avere il suo tempo, ma farlo è l’unico modo per affrontare la nostra storia. La Chiesa non è pronta a fare giustizia attraverso i provvedimenti ecclesiastici; invece, quando denunci all’autorità giudiziaria sai che trovi persone pronte ad aiutare la parte offesa. Rivolgetevi anche a realtà come La Rete l’Abuso che non lasciano da sole le vittime”.
DIRITTO DI REPLICA
Abbiamo chiesto una replica all’avvocato di Don Giuseppe Rugolo, ma non ci è stata ancora fornita. Restiamo in attesa della stessa per pubblicarla prontamente