“IO in blues” di Irene Grandi fa tappa in Sicilia con il concerto dell’8 agosto 2023 a Piazza Armerina. Ecco l'intervista.
“IO in blues” di Irene Grandi fa tappa in Sicilia con il concerto dell’8 agosto 2023 a Piazza Armerina. In un primo tempo, l’artista avrebbe dovuto essere anche a Zafferana Etnea il 7 agosto, ma il concerto è stato rinviato a data da destinare per motivi di carattere logistico – organizzativo.
L’artista ha girato in lungo e in largo l’Italia in questi mesi con un tour in cui celebra le sue radici e la sua passione per la musica attraverso il blues. Sul palco è accompagnata da Max Frignani alla chitarra, Piero Spitilli al basso, Fabrizio Morganti alla batteria e Pippo Guarnera all’hammond. Durante il concerto, ripercorre un arco temporale che va dagli anni ’60 fino ai ’90, cantando pezzi di Etta James, Otis Redding, Willie Dixon, Tracy Chapman, Sade, ma anche Pino Daniele, Lucio Battisti, Mina, e alcuni brani di Irene, riarrangiati in chiave rock- blues.
“È una bellissima estate piena di impegni anche gioiosi, perché questo “IO in blues” sta andando molto bene” spiega entusiasta Irene Grandi nelle prime battute della telefonata prima dell’intervista e aggiunge: “Facciamo tante date, ci divertiamo molto e abbiamo anche una bella risposta da parte del pubblico. Uno spettacolo evidentemente godibile, giudicando dalla partecipazione del pubblico che si diverte molto”.
L’ 8 agosto sarà a Piazza Armerina con “IO in Blues tour”. Quali sono le emozioni e le sensazioni per il ritorno in Sicilia?
Sono molto contenta perché da un paio di anni non si riusciva a venire in Sicilia. Dopo la pandemia, c’è stato un rallentamento ed è stato un pochino più complesso. Tra l’altro, il nostro amatissimo Pippo Guarnera che è l’hemmondista in questo progetto, è proprio originario di Catania quindi noi siamo anche contenti di andare nella sua terra d’origine e lui è felicissimo. E poi insomma, è sempre un piacere venire in Sicilia perché la Sicilia è bella.
Che rapporto ha con questa terra?
L’ho vissuta come turista, ma soprattutto venendo a suonare. È sempre molto bella, così varia, così piena di storia, di persone interessanti che conoscono la storia della loro terra. È sempre molto curioso venire e imparare sempre qualcosa di nuovo. Mi piacciono tantissimo i paesi dell’interno. Ci sono dei posti incredibili. La Sicilia mi ricorda per certi versi la Toscana proprio per la sua varietà e immensa ricchezza naturale e culturale. E poi anche culinaria. Adoro le granite, gli arancini, anche il salato. Tutte le volte che vengo in Sicilia è un assaggiare cibi. È un po’ una festa.
È interessante aver titolato il tour “IO in blues” e non magari con il suo nome. È un modo per dire che il blues fa parte della sua essenza?
Sì, volevo dire proprio questo. Questo concerto mi piace chiamarlo concerto di formazione nel senso che io faccio omaggio alle canzoni blues, ai grandi cantanti di blues, ma anche ai nostri artisti che del blues hanno fatto in parte una loro cifra come Pino Daniele, Lucio Battisti e a tratti anche Mina. Questi artisti hanno influenzato il mio modo di interpretare, di vedere la musica e il mio gusto musicale. Questo IO è come se fosse qualcosa che mi radica alla mia musica di origine che è la musica su cui mi sono formata la voce e il gusto musicale. Racconto la storia mia, da quando nella mia cameretta ascoltavo le canzoni di blues e le grandi cantanti come Etta James, Tracy Chapman, Aretha Franklin e che poi mi hanno influenzato nella mia musica e nella mia carriera da solista. Faccio questo grande omaggio raccontando come dagli ascolti, dal gusto e da una formazione si arriva poi ad avere un’identità per poter essere degli artisti originali.
Il blues, quindi, è il grande protagonista. Perché farlo rivivere tra tantissimi altri generi? Qual è il suo valore aggiunto?
Il blues è la madre di tutti i generi contemporanei che mi piacciono ossia il rock and roll, il jazz, il soul. Per i ragazzi potrebbe essere interessante perché anche l’hip hop viene dal blues. È la radice di tanta musica moderna e anche il pop tante volte prende spunto dal blues. Mi piaceva proprio guardare alle origini e omaggiare chi aveva dato una trasformazione importante alla musica per creare la musica contemporanea. C’è un valore culturale generale e poi il blues è stato la musica che ha acceso la voglia di cantare. Vedere il film dei Blues Brothers a 15 anni mi segnò profondamente, come qualcosa di davvero rivoluzionario. Non avevo mai visto un film del genere.
Per andare avanti, è tornata indietro ossia alle origini a quando è nato l’amore per la musica. Da dove è nata l’esigenza di tornare alle origini della sua carriera?
L’idea è venuta durante il periodo della pandemia in cui magari lanciarsi a fare cose nuove e vedersi con gli altri autori (dato che io sono una che lavora in team) era impossibile. La cosa che mi radicava e mi faceva tornare alla voglia di fare musica è stata quella di provare a tornare indietro. Mi è venuta questa idea pensando allo yoga che pratico spesso. Nello yoga si parla di radicarsi, di essere ben appoggiati a terra, di mettere le radici. Ho provato a declinare questa idea sulla musica. Mi è venuto in mente che il blues era la musica che mi aveva contaminata e influenzata di più nella mia storia. Ho provato a tirar giù questa scaletta di canzoni insieme ai miei musicisti, nati più o meno nella mia generazione e con questo background. Per tutti è stata una festa tornare a queste origini perché è la musica che magari facevamo da ragazzi, ma non avevamo tanta esperienza. La storpiavamo un po’. Invece, adesso che abbiamo molto più mestiere, la riusciamo proprio a sentire come se fosse una cosa nostra, che ci divertiamo a fare, che ci dà spazio per esprimerci, per improvvisare e per fare di ogni concerto un piccolo evento.
Qual è il momento del concerto che preferisce?
Mi piace molto la parte centrale. Inizio con dei brani in inglese che introducono questa vena blues e poi passo a una parte di brani dei miei maestri italiani come Mina, Lucio Battisti, Ivan Graziani e Pino Daniele. Faccio questa carrellata di pezzi centrali che uno dopo l’altro creano proprio una crescita emotiva, musicale, ritmica che coinvolge prima di tutto noi e noi passiamo questa voglia di gioia e di passione che c’è nel blues. Spesso si pensa che il blues sia una musica un po’ triste; in realtà, è una musica appassionata più che triste. Tira fuori la passione e viene fuori anche tanto ritmo, tanta parte carica. Questa parte così devo dire che è davvero entusiasmante perché senti proprio l’adrenalina che sale mentre esplori la scaletta e vedi che il pubblico si anima con te.
Lei è tornata alle origini con questo tour. Dalle origini ad oggi, però, ci sono più di trent’anni di carriera. Come si è evoluto il suo approccio con il palco?
Mi piace muovermi sul palco. Quando ero ragazzina correvo da una parte all’altra. Adesso mi piace riempirlo, anche con dei movimenti quasi più danzati che mi sono venuti fuori dopo l’esperienza del musical dello scorso anno. Ho partecipato come protagonista in un musical di Stewart Copeland che ha fatto un’opera rock in cui anche la danza faceva parte di questa performance (nda. Si tratta di “The Witches Seed”). Avendo studiato con una bravissima ballerina che ci faceva le coreografie, è come se mi fosse entrato dentro anche questo aspetto della danza. In questo concerto bello ritmato, mi diverto a metterci anche questi movimenti più coreografici. Questa è stata un’evoluzione. In più il blues esplora tutti i colori della mia voce: dalle cose più malinconiche alle cose più gioiose e piene di piccoli interventi anche improvvisati e vocalizzi, però sempre in quell’ambito grintoso che piace a me. Insomma, c’è davvero tanto di me e forse anche di più di quello che ho fatto finora.
Immagino avrà seguito le diatribe di queste settimane tra Meneguzzi e J – Ax e il commento di Samuele Bersani sull’uso dell’autotune. Secondo lei, quale periodo sta attraversando la musica italiana?
È una tragedia tutta questa tecnologia nella musica. Da una parte permette a tante persone di approcciarsi alla musica, quindi questo è anche bello volendo. Il problema sta più a monte secondo me. Non tanto nella gente che fa musica e che magari non ha tutte le caratteristiche per essere un grande performer perché la musica è di tutti. Il mercato della musica dovrebbe essere più severo secondo me. Non si possono considerare solo i numeri di Instagram e Internet per fare diventare qualcuno una star. Ci dovrebbero essere due classifiche separate secondo me.
C’è qualcosa che vorrebbe diverso rispetto al mondo della musica?
Beh, mi piacerebbe ci fossero più programmi che parlano di musica e che la affrontano, oltre al Festival di Sanremo. Non è possibile che in Italia ci sia rimasto solo Sanremo e chiunque vuole fare musica deve passare di lì. È una cosa abbastanza triste secondo me, non perché il Festival di Sanremo non sia bello. Naturalmente è il concorso nostro più importante, è bellissimo che ci sia ancora, menomale che almeno Sanremo resiste, però, secondo me, mancano tantissimo tutte quelle trasmissioni che parlavano di classifiche, che presentavano i nuovi dischi. Il Festivalbar era una kermesse molto più soft, in cui si sentiva meno la competizione, ma invece c’era una grande gioia nel condividere la musica con gli altri. È peggiorato l’ambiente per promuovere la nostra musica. Non basta Internet perché Internet non rappresenta, secondo me, tutto quello che la musica offre perché Internet è un mezzo più da giovani. Il mercato è viziato da questi numeri e dai logaritmi del cavolo.
Quindi, Festival di Sanremo 2024 sì o no?
Ti dico boh… Non lo so ancora. Sono a pensare a un disco nuovo, ma ho tanti impegni live e mi dispiace smettere questo tipo di concerto fino a che va bene. Poi, naturalmente, anch’io devo andare avanti, oltre a essere ritornata indietro. C’è un desiderio anche di fare cose nuove, però è diventato talmente difficile essere visti con una musica che non è prettamente quella dei giovani che è molto faticoso adesso fare un album per poi rischiare di farlo per te e basta.
Quindi, Sanremo potrebbe anche essere, ma nello stesso tempo appunto bisogna essere molto preparati per andarci, avere un progetto ben definito. Ci sto lavorando ma non so, non voglio ancora esprimermi troppo perché mi rendo conto che effettivamente se adesso uno pensa di poter fare senza Sanremo, le cose diventano davvero difficili.
C’è in cantiere un disco nuovo, allora?
Sì, c’è una progettualità. Ci sto lavorando, ma non sono sicura di essere abbastanza pronta per affrontare un Sanremo già l’anno prossimo perché quest’anno con questa bellissima sorpresa del “Io in blues” che è andato molto bene, che abbiamo fatto tantissime date, ho avuto tempo per raccogliere idee e per avere nuove esperienze con nuovi autori e nuovi musicisti, però anche la produzione di un disco richiede tempo e cura e quindi non sono sicura di avere il tempo sufficiente per potere già essere pronta tra poco. Anche perché Sanremo comincia ad essere già un lavoro che uno fa da settembre in poi. Sono ancora in tournee a settembre, quindi, non è detto che possa riuscirci.
30 anni di carriera. Oggi il successo arriva istantaneo e va via velocemente. Qual è, invece, il segreto per restare nei cuori di tanta gente per così tanto tempo?
Eh, quello saperlo… (nda. ride) Di sicuro non è solo merito degli artisti che amano il proprio mestiere. Ci vuole tanto amore, sacrificio, voglia sempre di fare cose nuove, di essere sempre freschi e di avere quella passione che ci vuole per essere artisti perché è una vita che tutte le volte ti reinventi, vai a sperare di essere capito e di essere amato, però non è mai detto. Ci vuole anche una certa dose di coraggio e poi ci vuole anche un sostegno. Noi siamo stati fortunati negli anni ‘90 in quanto le case discografiche iniziavano a firmarti almeno tre dischi. Avevi anche il tempo di poter essere conosciuto, di poter crescere. Adesso, appena sbagli una cosa, è facile che ti abbandonino. Forse è addirittura più difficile di prima rimanere. Mentre è più facile uscire, è più difficile restare.
Fonte foto: Luca Brunetti