L’Istituto universitario europeo di Firenze, in ossequio al “politicamente corretto”, ha deciso di mutare in “Feste d'inverno” le nostre “Feste natalizie”
L’Istituto universitario europeo di Firenze, in ossequio al “politicamente corretto”, ha deciso di mutare in “Feste d’inverno” le nostre “Feste natalizie”. Se avessimo ancora qualche dubbio sul tipo di società che qualcuno vorrebbe costruire ed avessimo bisogno di capire che ci troviamo in una situazione drammatica, che rischia non di potenziare l’integrazione tra i popoli, le fedi e le culture, ma di travolgere la cultura e la fede italiane e, più in generale, occidentali, questa assurda decisione dell’Istituto Fiorentino ci chiarisce il tutto. Secondo i vertici della organizzazione in questione, bisogna cancellare la parola Natale ed i suoi festeggiamenti in nome dell’uguaglianza etnica al fine di ottemperare agli obblighi scaturenti dal loro “piano per l’uguaglianza etnica e razziale” in vigore presso la medesima Istituzione.
Desidero rammentare soltanto che il Natale ricorda e celebra la nascita di Cristo, vale a dire del “soggetto” attorno al quale ruota la fede cristiana, i suoi valori, i suoi dogmi, il suo modello di presenza nella società. Per quanto mi riguarda basterebbe un idiozia come quella dell’Istituto fiorentino per comprendere dove ci sta portando l’ipocrisia del “politicamente corretto”, interpretato da “pruriginosi ignoranti”, i quali pensano che il problema dell’integrazione sia nominalistico e non culturale, e non giuridico, e non logico, e non di buonsenso, e non strutturale. A chi non ha le idee chiare in materia basterebbe ricordare l’articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, sottoscritta dai 192 Paesi che aderiscono all’Onu e che così recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.
Penso che la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo rappresenti la base su cui debba essere costruita la convivenza tra persone, sia di chi ha una fede, sia di chi non ne ha, sia di chi ha la pelle bianca, sia di chi ce l’ha di un altro colore, sia di chi ha orientamenti sessuali di un tipo e chi li ha di un altro, ecc. Proprio per questa ragione sono convinto che quel testo costituisca il documento più importante per chiunque appartenga al genere umano e provi a convivere con chiunque altro in una qualsiasi società. Ecco il problema che gli ipocriti in mala fede nascondono: gli esseri umani non sono uguali e basta, ma sono uguali in dignità e diritti. Com’è ovvio che sia, infatti, pur avendo il diritto di essere trattati nella stessa maniera di chiunque e di avere le medesime opportunità, non esiste nessuno uguale ad un altro, pur avendo l’identica dignità, ecc.
Ecco perché negare il Natale costituisce una solenne sciocchezza, che offende non solo chi ci crede, ma anche chi non ci crede, poiché non è automatica l’accettazione altrui che si vorrebbe realizzare. Integrazione, infatti, non significa rinunzia alle proprie idee, alle proprie tradizioni, alla propria religione, ecc., significa, invece, imparare a convivere con le idee, le tradizioni, la religione ecc. degli altri, i quali, ovviamente, hanno la stessa dignità, pur nella diversità. I responsabili dell’Istituto universitario europeo, però, purtroppo, non sono i soli a pensare che l’integrazione si ottenga con l’annientamento della cultura altrui, dato che a fargli compagnia è anche qualche “originale” sacerdote di Padova, che ritiene che la mancata realizzazione del presepe costituisca un gesto di rispetto del Vangelo, dei suoi valori e dei poveri (?).
È noto il fatto che il sottoscritto sia un credente profondamente laico, che non è affatto un ossimoro, anzi! Penso, infatti, che il rispetto verso le fedi e le culture altrui debba essere reciproco, e al momento non mi sembra che sia proprio così, e che si debba ottenere senza rinunziare alle proprie, ma rispettando le ragioni degli altri, offrendo a tutti lo stesso livello di libertà e di pari opportunità reali, concrete e non soltanto formali. Mi chiedo quando si riuscirà a comprendere che la civiltà potrà dirsi una condizione pienamente realizzata in un contesto di pace, di equilibrio e di reciproco rispetto, ma non di resa culturale o religiosa.