Alitalia perde ancora
Sembra la tela di Penelope: di giorno si tesse e di notte si disfa la trattativa fra Ita e la compagnia tedesca Lufthansa per un matrimonio che farebbe bene a entrambe.
La Commissione europea, però, si è messa di traverso perché continua a chiedere chiarimenti e informazioni, prolungandosi in un tempo indecente, il che sa tanto di cavallo di Frisia.
Sulle prime, non si capisce perché vi sia questa sorta di ostruzionismo, ma a ben vedere, anche la Commissione europea è oggetto di pressione dei gruppi di potere, i quali non vedono di buon occhio che il mercato italiano della borghesia venga “catturato” dalla Compagnia tedesca e la stessa giovane e piccola Ita possa accedere ai voli internazionali Lufthansa, diventando così un bacino di raccolta di passeggeri, che poi vengono convogliati negli hub tedeschi per andare a Est e a Ovest d’Europa.
La questione non è di poco conto perché Ita, nonostante i suoi progressi, ancora non ha ammortizzato le perdite da quando è stata recentemente costituita dal ministero dell’Economia e Finanza (Mef).
In questo commento non possiamo dimenticare i circa dodici miliardi di perdite gravati sul/la contribuente italiano/a, per mantenere in vita una società che perdeva come un colabrodo, cioè Alitalia.
Il suo salvataggio, allora di Silvio Berlusconi, non aveva ragion d’essere per nessuna questione economica e di convenienza, però faceva comodo al Cavaliere, soprattutto per venire incontro a tanti suoi amici. In ogni caso, quel salvataggio non procurò alcun beneficio perché Alitalia non era una società ben amministrata, bensì un ente che divideva favori a destra e a manca, anche sotto forma di commesse per forniture di beni e servizi a prezzi superiori di quelli di mercato, nonché a un contratto di lavoro superdotato che ha consentito a tutti/e i/le dipendenti di godere di stipendi molto più elevati di quelli medi.
Ancora oggi Alitalia è in amministrazione straordinaria e continua a costare al/la contribuente italiano/a centinaia di milioni, oltre ad un ulteriore esborso per la cassa integrazione, che ad hoc ha pagato gli stipendi nella misura dell’ottanta per cento: una condizione fuori dal mondo.
Ora, non si capisce, ovvero si capisce bene, perché una compagnia aerea a guida pubblica debba perdere dei soldi e le compagnie inventate dai gruppi imprenditoriali privati, invece, ne guadagnano, come ad esempio Ryanair, o Virgin Atlantic o EasyJet, solo per citare alcuni esempi europei.
La differenza sta nel metodo di gestione, poiché il privato tiene i conti all’osso, paga stipendi onorevoli, ma non eccessivi, tiene i fornitori sul bordo dei loro costi con guadagni ragionevoli e con un’organizzazione efficiente, che mantiene i costi a livelli accettabili e comunque all’interno di un conto economico attivo.
Ecco la chiave del successo delle iniziative imprenditoriali: tenere i costi all’osso, pagare adeguatamente i/le propri/e dipendenti e praticare prezzi, in questo caso dei biglietti, molto flessibili, ma estremamente convenienti.
L’importante, come è noto, non solo per le compagnie di trasporto aereo, è avere un tasso di occupazione massimo possibile almeno fra il sessanta ed il settanta per cento.
Gestire una compagnia aerea non è semplice perché vi sono tanti vincoli e tanti adempimenti di legge e burocratici che obbligano a mantenere un apparato amministrativo adeguato. Nonostante ciò, chi ha capacità organizzative riesce a far fronte a queste difficoltà gestionali e a guadagnarci.
Non dimentichiamo, nel quadro dei rapporti economici di una compagnia, quelli con gli scali, cioé con gli aeroporti, i quali richiedono pagamenti per i servizi che prestano, ma in qualche caso sono loro che pagano le compagnie aeree per diventare hub centrali dei voli nazionali ed internazionali.
Dal quadro che precede si evince che solo i/le competenti possono esercitare questa attività; gli/le altri/e si imbarcano in un’azione che fa perdere quattrini e non dà alcuna soddisfazione.
Lufthansa-Ita: ci auguriamo che l’epilogo positivo sia vicino nell’interesse di entrambe e dei/delle viaggiatori/trici italiani/e.