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L’Italia, un Paese di poveri e nababbi

L’Italia, un Paese di poveri e nababbi

Sistema pensioni a rischio crack

Secondo l’ultimo rapporto dell’Ocse, l’Italia spende per pensionati e assistiti ben il 16,1% del Pil. Una cifra impressionante ed eccessiva rispetto a quello della media europea, che è del 10,1%.

Significa che ogni anno lo Stato eroga, ripetiamo per pensionati e assistiti, oltre 330 miliardi. Ciò vuol dire che sottrae alla crescita almeno cento miliardi, vale a dire la differenza fra quanto si spende in Italia e quanto si spende in Europa.

Ma mentre pensionati e assistiti con quello che ricevono alimentano solo i consumi, viene meno la propulsione alla crescita che deriva dagli investimenti, soprattutto quelli in infrastrutture e nel mondo complessivo delle imprese.

Crescita economica debole e confronto internazionale

La conseguenza è che la crescita è piatta e infatti la Legge di Bilancio 2026 produrrà, forse, un misero +0,5%. Mentre, tanto per citare un dato, gli Stati Uniti hanno una crescita superiore al 4%, la Cina superiore al 5% e quella che molti considerano la povera Russia superiore al 2%.

Economia sommersa, evasione fiscale e povertà

Questo è il quadro generale di riferimento, in cui c’è un dato più grave, citato più volte: secondo l’Istat in Italia vi è un’economia sommersa pari a 192 miliardi, secondo altre fonti l’evasione fiscale è intorno ai cento miliardi e infine vi è il dato sui poveri, ritenuti intorno ai 5,7 milioni. Quest’ultimo dato è però certamente falso, perché non tiene conto che nei 192 milioni di economia sommersa lavorerà certamente qualche milione di persone che risulta povero.

È anche vero che i ceti medi stanno peggio di dieci anni fa, perché i loro compensi sono stati erosi da circa un terzo di svalutazione, mentre sono aumentati in valore nominale di dieci o quindici punti percentuali.

Immobilismo politico e mancanza di riforme strutturali

Il quadro che descriviamo non è positivo e in qualche misura sorprende che questo Governo non abbia cercato di dare una sterzata di fronte a questo immobilismo, confermando lo status quo, che peraltro hanno mantenuto tutti i Governi da qui a vent’anni orsono.

Deduciamo quindi che non si tratta di responsabilità di questa o quella parte politica, ma di una classe istituzionale che non vede lontano e non riesce a prescindere dal consenso elettorale, citato giorno per giorno dai maledetti sondaggi, di cui invece non si dovrebbe tener conto nel breve periodo.

Il rischio crack del sistema pensionistico secondo l’Inps

Secondo l’Inps, se i Governi dei prossimi dieci anni non cambieranno strutturalmente il mondo di pensioni e assistenza, nel 2035 avverrà il crack, ovvero lo Stato non sarà più in condizione di finanziare questo importante settore, con la conseguenza che si rischierà di arrivare a una situazione molto vicina a quella in cui cadde la Grecia nel 2010.

Ricordiamo che il fallimento di quella nazione comportò tagli lacrime e sangue per stipendiati e pensionati, oltre che la vendita dei “gioielli dello Stato”. Ricordiamo anche che per avere gli aiuti dell’Unione europea quel Governo dovette acconsentire di aprire un ufficio Ue ad Atene, con il compito di vidimare qualunque spesa non rientrasse nel Piano di risanamento e controllare che tutti i sacrifici imposti ai cittadini avessero corso immediatamente, per riaprire i bancomat che, in conseguenza del fallimento, erano stati chiusi.

Disuguaglianze sociali e concentrazione della ricchezza

Uno scenario apocalittico? Non ci sembra, perché la Grecia l’ha già subito sulla propria pelle. Ma sembra che di quanto descritto ai responsabili istituzionali non importi niente, così continuano a viaggiare in un tunnel buio senza tentare di uscirne per salvare i propri cittadini.

Di fronte a questo scenario, ve n’è un altro altrettanto preoccupante: la crescita del numero di ricchi. Questi ultimi continuano ad accumulare senza che sul patrimonio, magari avuto per eredità, vi sia messo qualcosa di personale o siano pagate adeguate imposte.

L’ipotesi di una modesta patrimoniale – poniamo dello 0,8%, da oltre cento milioni in su – non è stata presa in considerazione. Cosicché è venuto meno il principio costituzionale della redistribuzione della ricchezza.

Conseguenza: nel nostro Paese vi sono sempre più poveri e sempre più ricchi. La fascia intermedia, quella che i giornali chiamano ceto medio, diventa sempre più fragile, anche perché non ha consapevolezza della propria forza elettorale in quanto costituisce il maggior numero di cittadini che, votando, potrebbe cambiare i governanti.

Insomma, il nostro è un Paese che, giorno dopo giorno, anziché diffondere ricchezza, distribuisce disuguaglianza.