L’Italia è un Paese fragile. La sua conformazione geologica espone lo Stivale a rischi naturali di ogni tipo, da Nord a Sud, isole comprese. Frane, alluvioni, incendi e terremoti non conoscono confini regionali, e la questione climatica – con il suo portato di eventi estremi e siccità – rende il tema della prevenzione più urgente che mai. Ne è consapevole Nello Musumeci, ministro per la Protezione Civile e le Politiche del Mare, che in questa intervista affronta a tutto campo i nodi irrisolti e le sfide aperte della sicurezza territoriale: dagli strumenti di prevenzione (strutturali e non) alle assicurazioni obbligatorie per le imprese, dall’anagrafe dei rischi alle falle nei Piani comunali di protezione civile, soprattutto in Sicilia.
La messa in sicurezza del territorio è un’espressione fuorviante, spiega Musumeci, “perché un territorio totalmente sicuro non esiste. Possiamo solo ridurre il rischio, ma serve la partecipazione di tutti: non si può chiedere sicurezza senza contribuire a produrla”. In questa visione, la conoscenza scientifica e la responsabilità civica diventano i pilastri su cui poggiare un nuovo modello di convivenza con il rischio. Musumeci parla anche di incendi, parco mezzi, riforma dei porti e della neonata “politica del mare” affidata al suo dicastero: un’Italia da ripensare anche sotto la superficie dell’acqua, con risorse ancora esigue ma ambizioni chiare.
Quali sono le iniziative del Governo per mettere in sicurezza il territorio? Avete approvato il Piano di interventi urgenti? Quali sono le priorità per il Sud e la Sicilia? Le assicurazioni contro le catastrofi sono già obbligatorie per le imprese. Cosa si sta pensando di fare, invece, per quanto riguarda gli immobili pubblici e privati?
“Procediamo con ordine. L’Italia è fra i Paesi membri dell’Unione europea il più fragile e vulnerabile, anche per la sua natura geologica. Da noi sono presenti e possibili quasi tutti i rischi naturali. E non c’è alcuna sostanziale differenza tra Nord e Sud. Persino il deficit idrico è un tema che non risparmia alcuna area. L’acqua non si fabbrica: se quando piove ne accumuliamo solo l’11 per cento, non ne troveremo mai a sufficienza nei mesi non piovosi. Il governo ha istituito un commissariato nazionale che agisce in autonomia. Fatta questa premessa, dobbiamo prestare attenzione alle parole: non esiste un territorio ‘sicuro’ e non esiste quindi la messa in sicurezza del territorio. Rischio zero è solo nelle favole. Lo Stato interviene solo per ridurre la esposizione al rischio del suo territorio. E trova difficoltà a farlo quando la comunità locale si limita solo a chiedere sicurezza e non anche a produrla. Servono cioè più prevenzione non strutturale, maggiore consapevolezza e partecipazione attiva da parte dei cittadini. Per questo abbiamo reso obbligatoria la polizza assicurativa contro le catastrofi. Solo per le imprese ma è un fatto storico. Entrerà in vigore gradualmente dal primo gennaio 2026. La prevenzione strutturale passa invece da diverse istituzioni: le Regioni, innanzitutto, che hanno ampie competenze in materia di protezione civile, ricevono risorse dal governo, gestite dai presidenti delle stesse regioni, in qualità di commissari, che decidono le priorità di intervento. Sul fronte terremoti, il nostro dipartimento Casa Italia gestisce un fondo di alcune centinaia di milioni annui, con priorità concordate con gli enti locali (scuole, ospedali, municipi, caserme, carceri). Col Pnrr abbiamo messo a disposizione delle regioni un miliardo e 200 milioni per la riduzione del rischio: le opere dovranno essere completate entro il prossimo anno”.
Il ministero ha ricevuto dalle 20 Regioni le mappe di rischio idrogeologico, incendi e per prevenire altre calamità naturali? Esiste un monitoraggio dei Piani di protezione civile redatti dai Comuni? Quelli dei Comuni siciliani sono regolarmente aggiornati? Gli uffici del Ministero sono forniti di un database digitale in cui confluiscono tutti i documenti prima citati realizzati da Comuni e Regioni, per progettare e calendarizzare le soluzioni?
“Sul piano dello studio del territorio nazionale, da anni ormai si conoscono nei dettagli le varie vulnerabilità. La Protezione civile si avvale della consulenza dell’Ingv, delle Autorità di bacino, dei Centri di competenza, del servizio meteorologico dell’Aeronautica militare, delle Università, della comunità scientifica e della Commissione Grandi Rischi, formata dalle migliori competenze italiane. La buona conoscenza diventa pure basilare strumento di prevenzione, anche se non tutte le istituzioni appaiono sensibili al tema. Non è un caso che circa un migliaio di Comuni sia ancora sprovvisto di Piano di protezione civile (in Sicilia alcune centinaia) e molti altri non abbiano provveduto all’aggiornamento. Abbiamo sollecitato le competenti Regioni a intervenire per sollecitare l’indispensabile adempimento. Anche il contrasto agli incendi boschivi è, per legge, di competenza regionale. Ogni anno in primavera convochiamo gli assessori regionali per verificare la preparazione delle Regioni nella gestione della campagna antincendi. Noi interveniamo con i Canadair e con la dichiarazione della Mobilitazione nazionale quando la Regione non è nelle condizioni di affrontare la crisi. Mentre da anni sollecitiamo Bruxelles a risolvere il problema della flotta aerea antincendi, sempre più obsoleta”.
Con l’aumento delle temperature, ma non solo, il rischio incendi aumenta: quali iniziative di prevenzione avete messo in atto per contrastare il fenomeno? Il Ministero ha effettuato un monitoraggio del proprio parco mezzi per interventi urgenti e immediati (canadair, navi, mezzi di terra, ecc…)? Di che dotazione si ratta?
“Gli incendi estivi sono il tallone d’Achille di tutti gli Stati. Basta osservare quel che accade nel mondo, anche in Paesi all’avanguardia sul piano tecnologico. La prevenzione, per sintetizzare, passa da un alto senso civico del cittadino (spesso causa di incendi colposi) e dall’uso diffuso dí sofisticati strumenti (droni, videocamere, segnalatori di fumo). Se usati bene, possono contenere la diffusione delle fiamme. Abbiamo anche inasprito pene e sanzioni per i responsabili, ma il piromane non si arrende facilmente alla deterrenza”.
Si parla da tempo di “riforma dei porti”: può spiegarci brevemente gli obiettivi del Governo e quali sono le tempistiche previste? Qual è la dotazione di fondi nazionali ed extra-nazionali in capo al suo ministero e quando ammontano le somme già impegnate e quelle effettivamente utilizzate?
“Per le Politiche del Mare, il presidente Meloni ha voluto istituire (per la prima volta dopo la soppressione del ministero della Marina Mercantile) una struttura ministeriale senza portafoglio, con la funzione di programmazione e coordinamento tra gli undici dicasteri che si occupano di mare. Solo da alcune settimane sono stati assegnati alla nostra struttura tre milioni di euro, ancora in attesa della registrazione alla Corte dei Conti. Li utilizzeremo essenzialmente per promuovere una nuova cultura del mare, in una Italia ancora ‘Terragna’. Grazie al Cipom, Comitato interministeriale per le politiche del Mare che ho l’onore di presiedere, l’Italia si è finalmente dotata del Piano del Mare, con gli obiettivi che ogni ministero è chiamato a raggiungere, in termini di semplificazione delle procedure e sburocratizzazione. Sulla riforma dei porti, ad esempio, il competente Mit ha assicurato che entro l’anno sarà presentata la proposta, attesa per la sua illustrazione anche al Cipom. È un atto assai atteso dagli operatori della Economia Blu, per rendere la nostra nazione competitiva in un Mediterraneo sempre più centrale nelle dinamiche marittime globali”.

