Roma, 26 set. (askanews) – Per l’Italia le importazioni di frumento duro sono “da sempre indispensabili” per garantire il corretto approvvigionamento dell’industria della trasformazione. Perchè senza l’import di frumento duro l’industria molitoria italiana “non sarebbe più in grado di approvvigionare, nei volumi e nelle qualità richieste, l’industria pastaria italiana, con conseguenze drammatiche per un prodotto che rappresenta, anche all’estero, uno dei maggiori simboli dell’agroalimentare nazionale”.
Lo evidenzia Italmopa, l’associazione industriali mugnai d’Italia aderente a Confindustria che rappresenta in via esclusiva l’industria molitoria italiana a frumento duro, leader nel mondo con circa 6 milioni di tonnellate di grano annualmente trasformate in semole destinate, principalmente, alla produzione di pasta alimentare. Oggi 20mila agricoltori aderenti a Coldiretti sono scesi in piazza in diverse città italiane proprio per protestare contro le speculazioni sul grano duro e quelli che la confederazione definisce “trafficanti di grano che schiacciano il prodotto nazionale sotto i costi di produzione”.
“Le importazioni sono state, da sempre, complementari e non alternative alla produzione italiana di grano duro, che è totalmente acquistata e trasformata dalla nostra industria molitoria, e si riferiscono spesso a un prodotto che, per le sue caratteristiche qualitative, non risulta individuabile nei volumi necessari sul territorio nazionale”, ricorda Vincenzo Martinelli, presidente Italmopa.
“Associare quindi l’attuale andamento negativo del mercato del frumento duro, peraltro generalizzato a livello internazionale, alle importazioni, per giunta spesso sensibilmente più onerose rispetto alle quotazioni del prodotto nazionale, risponde certamente a logiche sindacali e propagandistiche ma risultano del tutto sterili – prosegue – rispetto alla necessità di superare le criticità di natura strutturale che contraddistinguono la cerealicoltura nazionale”.
“Auspichiamo pertanto – aggiunge ancora Martinelli – che sia responsabilmente accantonata la ormai stanca individuazione di capri espiatori per giustificare le difficoltà della produzione primaria e coprire le proprie responsabilità, privilegiando piuttosto gli sforzi volti al superamento del gap competitivo rispetto ad altri Paesi produttori”.

