Per Luigi Busà era la prima volta ai Giochi Olimpici come per il karate che debuttava insieme a surf, skateboard, arrampicata e baseball/softball. Riproponiamo l'intervista a tutto tondo al campione
L’avolese Luigi Busà è medaglia d’oro, il nono bellissimo oro per l’Italia che arriva dal Karate fino a 75 kg. Nella finale Busà ha battuto il rivale di sempre Aghayev.
Noi del QdS lo avevamo sentito poco prima della partenza per Tokyo. Ecco cosa ci aveva detto il campione olimpico.
L’intervista a QdS.it
Quando intervisto Lugi Busà è il pomeriggio del 23 giugno, dopo la Cerimonia della Consegna del Tricolore da parte del Presidente della Republica Sergio Mattarella ai portabandiera scelti per le Olimpiadi di Tokyo che inizieranno il prossimo 24 luglio.
“Oggi è stato il primo
giorno in cui ho avvertito una strana emozione. Si è avvertito lo spirito
olimpico perchè c’eravamo tutti. Tutti quelli che sogniamo in grande ossia di
andare a fare una bella prestazione e di vincere il titolo” ammette entusiasta
Luigi Busà, classe ’87, originario di Avola in provincia di Siracusa, atleta
del Centro Sportivo Carabinieri e simbolo del karate azzurro. Due volte
campione del mondo di kumite/combattimento (2006, 2012) e cinque volte campione
europeo, di cui è detentore (Guadalajara 2019), Luigi Busà si è qualificato ai
Giochi Olimpici di Tokyo il 28 febbraio
2020 a Salisburgo con due gare di anticipo nei -75kg del kumite.
In quell’occasione, su
Instagram ha scritto: “Oggi ho raggiunto il mio obiettivo che aspettavo da 33
anni, ma ora inizia il mio sogno e con il vostro supporto sarà possibile
realizzarlo. 28/02/2020 abbiamo scritto una pagina importante di storia del
karatè italiano, il Primo (e sicuramente non l’ultimo) con il pass per le
Olimpiadi…Andrò ovunque purché sia avanti”.
Vent’anni di carriera per
il karateka azzurro che culmineranno nel suo sogno più grande ossia le
Olimpiadi. Per Luigi Busà sarà la sua prima volta ai Giochi Olimpici come per il
karate che debutta insieme a surf, skateboard, arrampicata e baseball/softball.
Com’è iniziato il tuo
rapporto con il karate?
“È iniziato grazie a mio papà e alla mia famiglia. Mio padre è il mio maestro, lo è stato e lo è anche se adesso sono a Roma, al Centro Sportivo Carabinieri.
Nella mia famiglia, siamo quattro figli (tre femmine e io che sono il terz’ultimo). Tra noi abbiamo 18 mesi di differenza. Stavamo sempre in palestra. Da lì è iniziato tutto come se fosse un gioco: il tatami, il sacco, le capovolte e le capriole”.
Hai detto che se non
avessi avuto questo padre, non sarebbe andata com’è andata. Quali sono gli
insegnamenti da sportivo e da uomo di cui fai tesoro di tuo padre?
“Innanzitutto porto con me gli insegnamenti da uomo. Se sono così non è solo per lui, ma anche per mia mamma, per i miei nonni, per tutta la famiglia in sé e per tutte le esperienze della vita. Ci siamo sempre confrontati e mi ha sempre trasmesso ciò che per lui era giusto e che è risultato giusto perché siamo degli uomini con determinati valori.
Come atleta, invece, mi ha trasmesso tutta l’energia e la voglia di vincere, di ambire, di arrivare, di non mollare nei momenti bui e di accettare i momenti di sconforto”.
Leggevo che da piccolo
eri sovrappeso e che hai detto che avevi sempre fame. Luigi Busà di oggi cosa
ha in comune con quel ragazzino: c’è ancora quella fame, immagino diversa?
“Non è tanto diversa, sai. Nella mia vita ho avuto degli infortuni, delle operazioni. A volte si dice “questo evento mi ha levato la fame”, ma in 34 anni io ho sempre avuto fame, ne ho sempre tanta. Con il tempo si è trasformata in fame di vittoria ed è quello che mi ha portato ad avere vent’anni di carriera. A volte se ci penso, è una cosa incredibile soprattutto per lo sport che faccio”.
Hai parlato di vent’anni
di carriera all’insegna del karate. Ci saranno state battute d’arresto…
“Ho avuto una carriera fortunata perché ci sono stati pochi intoppi e pochi infortuni. Anche se c’è stato tanto stress fisico e mentale, il fisico ha retto botta sino ad oggi. Ho avuto tanti momenti di gioia, ma anche momenti di dolorose sconfitte. Penso ai Campionati mondiali del 2014 quando vincevo 2-0 contro il giapponese e poi ho perso per 3-2 gli ultimi secondi. All’epoca mi ero distratto perché pensavo di aver vinto e, quando ci penso, mi fa ancora male. Lì ho avuto un paio di mesi molto bui, non volevo più riprendere fino a che mi sono rimboccato le maniche.
Un’altra battuta d’arresto è stata quando mi sono operato al gomito e ho dovuto recuperare in fretta e saltare un paio di gare per la qualificazione olimpica. Quello è stato un periodo in cui ho sofferto tanto e mi chiedevo se ce l’avrei fatta e perché quell’infortunio proprio in quel momento. Invece poi, nei giorni di infortunio, elabori tante cose che possono servire per quello che va fatto”.
A proposito di battute
d’arresto, la pandemia è stata tra queste. Hai avuto anche il Covid. Come hai
reagito da atleta di fronte ad uno stop non voluto, ma imposto?
“Considera che mi sono qualificato alla fine di febbraio 2020. Il sindaco del mio paese aveva organizzato una festa per me e per la mia famiglia e non l’abbiamo fatta preferendo il buon senso. Ho pubblicato una foto e ho scritto che ringraziavo tutti, ma il buon senso avrebbe prevalso. Pochi giorni dopo, anche in Italia, c’è stato il lockdown totale.
La pandemia ha sconvolto tutti perché il Covid è un nemico invisibile. All’inizio non abbiamo capito nulla, neppure gli esperti dato che era una cosa nuova. Ci ha toccato tutti profondamente. Quando si è capito che l’unica cosa era di stare a casa e aspettare, allora l’ho fatto e ho preso tempo per me perché tante volte non ci accorgiamo che corriamo a destra e a sinistra tra allenamenti e gare. Ho vissuto un anno interamente con me stesso dove ho migliorato tantissime cose nello sport e non ho staccato la spina perché ci credevo e mi ci sono aggrappato. Ho vissuto momenti intensi con il mio cuore, la mia anima e la mia testa. Ho meditato, ho respirato e sono stato con me. Quando c’è da combattere si combatte, ma l’unico modo per sconfiggere l’avversario qui era aspettare e applicare le norme indicate dallo Stato”.
Il 24 luglio si darà il
via alle Olimpiadi di Tokyo. Sarà la tua prima volta ai Giochi olimpici e la
prima volta che il karate è disciplina olimpica. C’è qualcosa che ti sei
ripromesso?
“No, non mi sono ripromesso nulla. E non ho aspettative perché non mi interessa. So che lì non ci sono favoriti e outsiders o gente data per persa. È un giorno particolare dove la Storia racconta che gente che si è qualificata all’ultimo ha vinto le Olimpiadi, gente favorita non ha mai vinto una medaglia olimpica. Vado senza alcuna aspettativa, so di aver fatto un anno importante, nonostante la pandemia, vincendo due ori che hanno ridato fiducia.
Mi sono ripromesso solo una cosa: di non dare nella vita nulla per scontato. Questo è un grande sogno, ma non è il sogno in sé, è il percorso che fai. A me questo percorso mi ha cambiato la vita perché ci sono state tante cose in mezzo che mi hanno fatto capire che nella vita non dobbiamo dare nulla per scontato”.
Prima volta di un
siciliano ai Giochi Olimpici nella disciplina del karate…
“Sono il primo siciliano e il primo a rappresentare Avola, il mio paese di 45.000 abitanti. La vivo con grande orgoglio. Io so da dove vengo e chi ero. Guardo sempre avanti perché voglio sempre di più, ma è normale che la vivo con grande onore e senso di responsabilità. Mi sento di avere il talento di fare certe cose e la volontà di sacrificarmi e di raggiungerle. Rendere felice, orgogliose le persone del mio paese e dell’Italia la posso vedere solo come una bellissima cosa”.
Luigi per te quanto è
importante vincere?
“Per me vincere è l’unica cosa che conta. È una frase fatta, ma io ogni fine allenamento penso sempre “oggi fatico o faccio questo allenamento perché poi andrò a vincere”. A me vincere piace e perdere non piace. Col tempo ho capito che dalle sconfitte, se riesci a capire cosa vogliono insegnarti, torni davvero più forte. Sembra una frase fatta, ma è così. A me vincere piace, ma in ogni ambito della vita: quando gioco a ping pong con i ragazzi, quando gioco a calcio balilla, quando si devono salire le scale con le mie sorelle e io devo arrivare primo. Mi piace vincere perché mi rende vivo e quindi ci sto dentro fino in fondo”.
In tutto questo, la paura
che ruolo ha?
“Se non ci fosse la paura, saremmo tutti dei pazzi. È normale ed è giusto che ci sia perché vuol dire che stiamo facendo qualcosa di grande. La paura va solamente gestita. A tratti diventa amica tua, a tratti la odi, ma non si può fare a meno della paura. Quando ricorderemo un giorno questi momenti, ricorderemo prima di tutto la paura. Il bello è che tutti vorremmo andare a vincere, tutti lo sogniamo, ma c’è chi ce la fa e chi no. È proprio la paura che crea questo spirito”.
Vent’anni di carriera col
karate. Se dovessi spiegare ad un ragazzino qual è la bellezza del karate?
“Il karate è uno sport, ma ancora di più è un’arte marziale. Significa che vi è rispetto tra noi atleti. A inizio e fine incontro, c’è il saluto e ciò significa che siamo a servizio del maestro, siamo onorati di fare fatica tutti i giorni. Ti forgia l’anima, ti insegna a rispettarti e a rispettare il prossimo. Magari in altri sport è un po’ meno. L’arte marziale in sé ti dà una marcia in più anche nella vita. Io lo dico sempre: “Chi fa karate, ha una marcia in più che può utilizzare nei momenti di difficoltà”.
Qual è la tua giornata
tipo?
“La mia giornata tipo a vent’anni era in un modo, adesso è più tranquilla. La mattina mi preparo e sistemo i borsoni ascoltando musica e con molta calma. Vado ad allenarmi. Dopo, pranzo e mi confronto con altri atleti. Pomeriggio se c’è doppio allenamento torno in palestra. La sera torno a casa e quando si poteva uscire, uscivo con gli amici.
Prediligo
un’alimentazione molto pulita. Sgarro nel weekend con la pizza che è uno dei
miei piatti preferiti insieme alla pasta alla carbonara e la cheesecake alla
nutella.
In estate esco di più la
sera, mentre in inverno guardo film o serie su Netflix.
Quando sono in Sicilia, trascorro il tempo con la mia famiglia e gli amici. L’unico vizio che ho è andare a pranzo o a cena fuori, anche se mangio insalatina o pollo. Mi piace però sedermi fuori, stare all’aperto e conversare”.
Hai parlato di musica,
cosa ascolti?
“Ascolto un po’ tutto: vado da Vasco (nda Rossi) a Ligabue. Mi piace la musica pop, le hit estive che sono leggere e ti fanno venire voglia di mare”.
Hai detto che usi
Netflix…
“Sì. Ho amato “La casa di carta” e “Vis a Vis” che è stata l’ultima che ho visto. Mi è anche piaciuta Gomorra. Adesso è tanto che non vedo una serie perché d’estate preferisco più uscire”.
Quali sono i tuoi
hobbies?
“Giocare a calcetto con i ragazzi, il padel che è di moda e mi diverto un sacco. Mi piacerebbe iniziare a suonare qualche strumento come la chitarra. Finora non ho mai avuto il coraggio, però magari dopo Tokyo, avendo più tempo per me, lo farò.
Mi piace andare al cinema due volte a settimana: prendo i popcorn e guardo il film del momento. Mi piace tanto viaggiare, anche se non è stato possibile nell’ultimo anno”.
Ultimo viaggio che ti è
rimasto nel cuore?
“Un po’ tutti. Mi è rimasta nel cuore Cuba in cui sono andato nel 2019 quindi l’ultimo viaggio prima della pandemia. Ho amato molto quel viaggio perché è stato on the road e l’ho girata tutta.
Altro viaggio a cui tengo è stato a New York e poi Messico. Ho vissuto il Natale a New York che è favoloso. Il Kenya, la popolazione africana è stata fantastica: lì ci ritornerò perché sono andato quando ero piccolo e ho una maturità diversa adesso e voglio riandarci. Nessun viaggio mi ha deluso perché io mi catapulto nella loro cultura”.
Sei legato a Laura Pasqua
anche lei karateka azzurra. Qual è la definizione che daresti dell’amore?
“Penso che tutte le cose non avrebbero senso senza l’Amore. L’amore potrebbe essere quello per il cane, per la famiglia, per i figli o per chi ti sta accanto. Non condividere ciò che fai o vivi con le persone non avrebbe senso. L’amore è tutto, in diversi modi e in diverse sfaccettature. Amare è ciò che ci rende felici e liberi”.
In ultimo?
“Una frase mia con cui ti posso lasciare: “Andrò comunque, purchè sia avanti”.
Sandy Sciuto