In una persona può vacillare la fede, può inaridirsi la carità, ma se c’è un tracollo della speranza, non si sa da dove ricominciare. Per questo l’anziano papa Francesco, che lo scorso anno aprì la porta santa del giubileo che chiuderà papa Leone XIV, ha voluto che questo tempo fosse caratterizzato dalla speranza, e lo ha auspicato con queste parole: “Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio di attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé […] Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza” (Spes non confundit, 1).
Il Giubileo della speranza in un mondo segnato da crisi e conflitti
Forse pochi anni giubilari come questo sono stati caratterizzati da sofferenze di intere popolazioni, da tentativi di trattati tra Paesi che stentano a portare pace, da una politica polarizzata nei nazionalismi e in visioni che si contrappongono in modo veemente. Anche la Sicilia, nonostante tanta progettualità che ha l’obiettivo di sanare i suoi numerosi problemi, è stata provata da indagini giudiziarie che non fanno altro che deludere chi crede nella cura del bene comune. Finirà il Giubileo, con questo Natale, ma rimarrà il compito quotidiano di “rianimare” la speranza! Da dove cominciare? Forse non dal Natale inteso come contenitore di ogni buon sentimento e come grande “macchina economica” divenuta “innocua” nella sua capacità di ridestare le coscienze.
La Natività come sorgente della caparbietà della speranza
Occorrerebbe ripartire dalla Natività, cioè da quel mistero che i cristiani festeggiano nel giorno in cui le giornate cominciano a crescere, non per rendere omaggio al Sol invictus come facevano i romani, ma per riscoprire in quell’evento della nascita di Gesù Cristo la sorgente della “caparbietà della speranza”. Il Vangelo secondo Luca ci dà una coordinata storica ed una geografica della Natività, e non comincia come una favola con il classico “c’era una volta”: il tempo a cui fa riferimento è quello dell’impero di Ottaviano Augusto, uno dei grandi regni dell’antichità; il luogo è una periferia di Gerusalemme, che aveva dato alla luce un re, Davide, ma che era scivolata nell’ombra, come tanti progetti umani.
Una speranza che nasce nelle periferie e nella fragilità
C’è una “caparbietà” nel dire che la nascita avviene non in un katalyma, un normale “albergo” per viandanti, ma in un luogo destinato agli animali: “caparbietà” di una vita che nasce nonostante tutto, come quelle dei campi profughi brulicanti di bambini. Questo evento, da allora celebrato da miliardi di persone, lascerà inquieti anche quelli che non riescono a credere, ma che sono pellegrini di speranza con tutti noi, e non possono non sentirsi attratti da un Dio che profuma di quell’umano che vorrebbero veder fiorire. Tutto è piccolo e “caparbio” come la speranza, nella Natività: il Bambino, Maria e Giuseppe, i pastori e persino i magi che si sono messi in cammino per andare a scoprire quale segno gli indicavano gli astri.
Il Natale come rinascita delle coscienze
Il Natale torna ogni anno, per credenti e per laici, per farci ricominciare, ma non da un augurio affogato nei regali e nei pranzi, ma in quello che muove dalla coscienza, quel sacrario nel quale Dio parla, e vede l’uomo fare i conti con sé stesso. Tutto rinasce nelle coscienze che diventano limpide, disposte anche a dire di aver sbagliato nel dare “forma” alle proprie buone intenzioni; rinasce quando si ammette di essere stati troppo timidi nel fare il bene. Essa riappare nel ricordo di ideali e promesse di pace che sono falliti semplicemente perché stati “armati” di violenza verbale, di diffidenza verso i deboli, e hanno negato la vera natura della pace, che come questo papa americano non si stanca di dirci, ha quattro aggettivi: disarmata, disarmante, umile e perseverante.
La Natività nella poesia: una speranza caparbia come l’amore
Perciò, con il poeta Guido Oldani guardiamo alla Natività che, caparbia come l’amore di Dio, muove i nostri passi alla speranza:
…il presepe è un lumicino caldo,
con anziché il bue e l’asinello
il toro in fotocopia di Guernica,
di Picasso, ma peggio mal ridotto
e poi c’è la cometa che sfarfalla
e il cielo di speranza spara un botto.
Mons. Luigi Renna
Arcivescovo metropolita di Catania

