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La Corte costituzionale e l’Autonomia differenziata

La Corte costituzionale e l’Autonomia differenziata
autonomia differenziata

La Corte costituzionale enuncia dei principi sui rapporti tra lo Stato e le Regioni

Nella lunga e corposa sentenza n. 192 del 2024, riguardante la legge n. 86 del 2024 recante le disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni ordinarie ex art. 116, 3° comma, Costituzione (cosiddetta “legge Calderoli”) la Corte costituzionale enuncia dei principi sui rapporti tra lo Stato e le Regioni come delineati nella Carta. Ne ripercorro alcuni, compatibilmente con lo spazio concesso a questa rubrica.

Lo Stato italiano si qualifica come stato regionale perché la Costituzione riconosce alle Regioni, in misura variabile secondo che siano “ordinarie” o “speciali”, l’autonomia (art. 5 Cost.) che si articola nella autonomia legislativa (artt. 116 e 117 Cost.) in quella amministrativa (art. 118 Cost.) e finanziaria (art. 119 Cost). Il principio di autonomia deve peraltro rispettare quello dell’unità e indivisibilità della Repubblica altrettanto chiaramente enunciato (art. 5 Cost.). Unità e indivisibilità sono connaturati nell’unicità del popolo italiano, che non è frammentabile e trova la sua principale espressione unitaria nel Parlamento: non esistono popoli né tantomeno parlamenti regionali.

Le materie da ripartire tra Stato e Regioni non sono dei monoliti, ma sono costituite da fasci di funzioni, legislative e/o amministrative. Il criterio che sovraintende alla ripartizione delle funzioni tra i diversi livelli di governo (Stato, Regioni, Città metropolitane; Province, Comuni) è quello della “sussidiarietà”. Per descriverlo la Corte ricorre alla suggestiva immagine di un ascensore che, muovendosi sia verso l’alto che verso il basso, alloca le diverse funzioni ai diversi livelli secondo l’attitudine di ciascuno a svolgerli nel modo più efficiente: se prevalgono esigenze unitarie, quali quelle della necessaria uniformità tra le varie regioni, le funzioni saliranno verso l’alto (Stato) mentre se per essere meglio espletata la funzione richiede prossimità agli amministrati l’ascensore scende e si ferma ai livelli inferiori (Regioni, Province Comuni).

L’art. 116, 3° comma, Cost., assegna alle Regioni ordinarie che ne facciano richiesta un sovrappiù di autonomia rispetto alle altre che, per così dire, “si accontentano” della ripartizione delle materie e delle relative funzioni scolpita negli articoli 117 e 118 Cost. Tale nuova ripartizione, avverte la Corte, deve tuttavia essere giustificata dalla Regione che ne fa richiesta, proprio in base alla sussidiarietà: essa deve dimostrare che per specifiche caratteristiche, sociali, geografiche economiche del suo territorio la differenziazione è effettivamente vantaggiosa per i suoi cittadini/amministrati: non deve trattarsi soltanto di una diversa dislocazione di poteri tra Stato e Regione. La legge non lo prevede e andrà pertanto modificata.

Come già detto le singole materie elencate al 2° e 3° comma dell’art. 117 racchiudono più funzioni di cui alcune possono impattare sui diritti civili e social come la tutela della salute o l’istruzione. Devolverle a più Regioni con capacità finanziarie diverse può generare diversità di trattamento fra i cittadini, secondo la capacità fiscale e di spesa dei diversi territori. Da qui la necessità di individuare prioritariamente i Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), già previsti all’art. 117, 2°c. Cost. da garantire su tutto il territorio nazionale, assieme ai relativi costi standard che andranno comunque finanziati. Saranno determinati non in base a criteri vaghi e indifferenziati come prevede attualmente la legge ma con appositi decreti legislativi, previa approvazione di una legge delega che contenga principi e criteri direttivi specifici per ciascuna materia da trasferire.

Come si vede ci sarà molto da fare per “aggiustare” la legge… sempre che sopravviva al referendum.

Giovanni Cattarino
già Consigliere della Corte costituzionale e Capo Ufficio Stampa