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La cultura del favore la cultura del risultato

La Sicilia è in queste drammatiche condizioni economico-finanziarie perché è estesa l’abitudine di chiedere favori.
I cittadini hanno abdicato al loro diritto di esigere il buon funzionamento delle istituzioni regionali e locali e delle sottostanti burocrazie.
Qui non funziona più niente, non è nichilismo, ma constatazione della realtà. Tutto va alla malora per il motivo semplicissimo che i vertici istituzionali e burocratici hanno dimenticato il loro dovere nei confronti dei cittadini.
Prendono tempo per ogni provvedimento, allungano il brodo senza alcuna voglia di concretezza, senza porsi l’obiettivo di ottenere risultati dalla loro azione. Tanto nessuno paga, nessuno è penalizzato, nessuno perde lo stipendio o l’indennità.
Penalizzati, invece, sono i siciliani tra cui si è estesa a macchia d’olio la disoccupazione (22%) e i poveri (forse un milione). è noioso continuare a ripetere le falle del sistema, ma è nostro dovere continuare senza stancarci.


La sanità non funziona, l’energia pulita viene contrastata da provvedimenti negativi; territorio fragile e senza manutenzione; strade e autostrade da terzo mondo; linee ferroviarie dell’anteguerra; sistema scolastico riempito da centoquattristi; burocrazia regionale allo sfascio con oltre 13.000 dipendenti di cui 1.300 dirigenti.
Con una burocrazia di tale entità, qualunque Regione funzionerebbe a dovere se al suo interno si diffondesse la “cultura del risultato”, piuttosto che la “cultura del favore”.
Non si sa se i burocrati non evadono i procedimenti amministrativi richiesti emettendo i relativi provvedimenti, oppure negandoli, in tempi europei. Perché questa lentezza? Forse perché aspettano che qualcuno chieda il favore o, peggio, si presenti con la bustarella?
Fra i burocrati regionali e locali si è diffusa la paura delle accuse penali soprattuto per quel reato aleatorio che è l’abuso d’ufficio. Ma tale reato è vigente in tutto il Paese. Perché nelle regioni del Nord i provvedimenti vengono emessi in tempi europei e qui, in Sicilia, in tempi africani?
Non è la paura che attanaglia la mano del dirigente, ma l’abulia di irresponsabilità e forse la voglia del “quid”.

Di fronte a questo quadro drammatico ma realistico, il presidente della Regione, Nello Musumeci, dovrebbe usare tutta l’autorevolezza di cui è capace per indurre il sistema burocratico a funzionare in tempi europei.
Se i suoi assessori non sono capaci di ottenere risultati, anche perché frenati dai propri dirigenti generali, il presidente ha il dovere di sostituirli chiamando eventualmente assessori e dirigenti europei, gente non abituata alla cultura del favore ma alla cultura del risultato.
Un dirigente vale meno di nulla se non ottiene risultati, ma per contro ha la faccia di bronzo di continuare a percepire i suoi emolumenti e ad accantonare i contributi che poi gli daranno una ricca pensione.
Tutto questo non è più accettabile. I cittadini che compongono la società civile devono reagire anche attraverso giornali, televisioni, siti d’informazione, agenzie di stampa e ogni altro mezzo per mettere alla gogna questi incivili che continuano nella loro impudica azione senza neanche vergognarsi.


È proprio il senso di vergogna che bisogna suscitare in tutti costoro, politici e burocrati che non fanno neanche lontanamente il proprio dovere.
Il Pil che non cresce, la disoccupazione che aumenta, i turisti che vengono attratti dalle bellezze naturali prima, ma poi quando ritornano nei loro Paesi non possono che dire peste e corna dei cattivi servizi trovati qui, la spazzatura che ci sommerge, le coste marine inquinate dai rifiuti perché non funzionano i depuratori. La litania è lunga, la ripetiamo ma ci fermiamo.
Le associazioni di servizio dovrebbero affrontare con forza questo quadro e protestare civilmente come sanno fare, mediante manifestazioni nelle piazze e nelle vie di tutte le città siciliane. Lo stesso dovrebbero fare le associazioni ambientaliste e quelle che si occupano dei siti archeologici.
Ma sentiamo un assordante silenzio. Anche loro si sono abituati alla cultura del favore e non guardano invece alla cultura del risultato. Forse dormono. Ma anche i dormienti, volenti o nolenti, hanno le loro precise e gravi responsabilità.