Home » Fatti dall’Italia e dal mondo » La libertà come uno spazio da costruire, non da dichiarare

La libertà come uno spazio da costruire, non da dichiarare

La libertà come uno spazio da costruire, non da dichiarare
Bru-no da Pixabay

In tempi di pulsioni illiberali, la sfida non è difendere la libertà in astratto, ma creare le condizioni concrete perché tutti possano esercitarla. È il compito, politico e negoziale, che la Costituzione affida a chi crede nella democrazia

La domanda è tanto ovvia quanto intrigante. Ci costruiamo una vita, si potrebbe rispondere. Nel lavoro, nella famiglia, nell’arte, nella cultura, nello sport, nell’impresa, nella politica. Siamo consapevoli che quella costruzione non può essere senza limiti, dovuti alle nostre caratteristiche fisiche, al luogo i cui ci troviamo, alla storia familiare, alla nostra capacità di reddito. Siamo tutti impegnati tuttavia ad allargare quei limiti. A volte siamo perfino disposti a lottare perché, almeno, non vengano ristretti.

In anni, come quelli che viviamo, di pulsioni illiberali, la discussione proposta non è del tutto inutile. È vero, come alcune personalità della politica sia in Europa che in America affermano, che alcune libertà sono in pericolo? Oppure questo pericolo non esiste? A queste domande sono state date risposte molto diverse. Questa diversità ha però il vantaggio di aiutare a definire i campi.

Da una parte, troviamo coloro che ritengono che le libertà non siano a rischio e che le eventuali restrizioni siano del tutto giustificabili e necessarie; dall’altra troviamo coloro che quel rischio lo percepiscono e che non ritengono per nulla giustificabili e necessarie quelle restrizioni. Malgrado ci sia un po’ di confusione da una parte e dall’altra, la distinzione è sufficientemente chiara perché ciascuno possa collocarsi consapevolmente da una parte o dall’altra.

Si tratta solo di modi diversi di misurare e intendere la libertà?

Si tratta solo di modi diversi di misurare e intendere la libertà? Può darsi, ma nella maggior parte dei casi le restrizioni sono conclamate e difese. Non sono certo equivocabili i sovranisti americani ed europei quando sostengono e, se governano, applicano, restrizioni alla libertà di stampa, alla libertà di contrasto al potere, alla libertà di esprimere la propria identità di genere, alla libertà di cambiare cittadinanza. Lascio a loro il compito di argomentare a favore di queste restrizioni. Qui intendo fare il contrario, e mostrare come il contrasto a quelle restrizioni possa costituire la base di una piattaforma politica efficace e, possibilmente, maggioritaria.

L’articolo 3 della nostra Costituzione

La libertà di cui parliamo è la libertà di ‘poter fare’ qualcosa, non di ‘fare’ qualcosa. Si tratta di due nozioni completamente diverse. La prima richiede un soggetto o una istituzione che crei le condizioni perché quelle libertà possano essere effettivamente esercitate. È nient’altro che l’articolo 3 della nostra Costituzione: rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà dei cittadini.

La seconda non si preoccupa delle condizioni in cui ciascuno può trovarsi, più o meno abilitanti, o fa finta che quegli ostacoli non esistano. Pecca quindi di ipocrisia. È invece una nozione di libertà non ipocrita che occorre mettere alla base di qualsiasi proposta politica. Ma c’è un rischio in questa nozione: pensare che quegli ostacoli possano essere rimossi senza costi o con costi sostenuti solo da altri.
In verità, l’esercizio di quella libertà di cui parla la Costituzione costa. Ciò significa che bisogna sempre negoziare, con chi ha interessi diversi, l’entità delle risorse da destinare alla rimozione degli ostacoli che limitano la libertà dei cittadini. Bisogna in qualche modo ‘sporcarsi le mani’. Se si rinuncia a negoziare, puntando alla rimozione totale, si corre il rischio di avere un risultato peggiore di quello che si potrebbe ottenere negoziando.

È ancora usata nel nostro Paese la distinzione tra sinistra riformista e sinistra radicale. Rispecchia in qualche modo la distinzione tra chi è favorevole alla negoziazione e chi non lo è. Ma tra negoziare sempre e non negoziare mai vi è una via intermedia, che implichi l’individuazione dei campi prioritari su cui avviare la negoziazione. Dovrebbe esserci un luogo politico dove questa sintesi può avvenire.

Tale sintesi avrebbe il merito di essere aperta ai cambiamenti e alle novità: le priorità possono cambiare nel tempo e possono arricchirsi di nuove istanze. Avrebbe anche il merito di definire meglio i campi: da una parte, a destra, le coalizioni che puntano alla restrizione delle libertà; dall’altra, a sinistra, le coalizioni che provano a coniugare l’allargamento effettivo degli spazi di libertà con la consapevolezza delle compatibilità.

Poi ognuno si collocherà con ancora maggiore consapevolezza dove si sente più a casa.

Maurizio Caserta
Ordinario di Economia politica all’Università degli studi di Catania