La pubblicità è una cosa seria - QdS

La pubblicità è una cosa seria

Carlo Alberto Tregua

La pubblicità è una cosa seria

sabato 29 Giugno 2024

Dipende dal suo contenuto

Vi è un detto secondo il quale: “La pubblicità è l’anima del commercio”. Ma un umorista, Marcello Marchesi, ha ribaltato il concetto: “La pubblicità è il commercio dell’anima”. Una cosa è certa: la pubblicità è una cosa seria, una sorta di carburante delle vendite, soprattutto quando è ben fatta, nel senso che colpisce la fantasia degli/delle acquirenti.

Per inteso, non sempre è così perché sovente essa è ermetica e non comunica niente, ovvero dà comunicati sbagliati che sono perfino controproducenti. Ovviamente sta all’abilità di chi la programma e ne redige i messaggi di intuire che cosa gradisce il/la consumatore/trice. In parole più semplici, la pubblicità ha il compito di oleare la spina di prodotti e servizi in vendita, in modo che essa si innesti più facilmente nella presa, cioé i bisogni dei/delle consumatori/trici. Ci vuole grande professionalità perché quando essa funziona, accelera le vendite.

La pubblicità è un mezzo e non un fine e come tale ha bisogno di essere manovrata bene. A questo servono i manager dei grandi gruppi, ovvero gli imprenditori medi e piccoli o anche i dirigenti della Pubblica amministrazione, quando intendono formulare messaggi per i/le cittadini/e.
È ovvio che il confezionamento di tali messaggi compete a quelle aziende di servizi abilitate a formulare i messaggi e a organizzare le campagne pubblicitarie, ma non va dimenticato che il bersaglio o l’obiettivo dev’essere raggiunto da chi intende mettere in campo tale campagna, il/la quale deve aver chiaro cos’è il prodotto o il servizio che intende vendere, a quale segmento dei/delle consumatori/trici esso va orientato e soprattutto come va misurato il Roi, vale a dire il ritorno in termini di aumento di vendite che ha generato la campagna stessa.

Molti la denigrano e quasi la schifano, ma la pubblicità, quando è ben fatta, dovrebbe aiutare i/le consumatori/trici a capire meglio i prodotti e i servizi offerti. Ovviamente vi sono pubblicità deleterie, che ingannano e spingono a consumare prodotti di cui non si ha bisogno o nocivi per l’ambiente e per gli acquirenti stessi. Per tale ragione costoro devono possedere un minimo di cultura per intravedere il substrato della stessa.
Però ve ne sono altre, soprattutto quelle che diffondo l’informazione, quelle culturali, eccetera che hanno effetti positivi sulla Collettività.

Vogliamo ricordare nell’argomento odierno il grande successo che ebbe negli anni sessanta Carosello. Per chi non c’era in quell’epoca, alle nove meno un quarto cominciava questo siparietto formato da quattro o cinque spot, che erano delle vere e proprie mini operette della durata di qualche minuto nelle quali agivano personaggi in carne e ossa, ma anche pupazzi e cartoni animati che nel tempo divennero celebri. Poi vi era l’abitudine – buona o cattiva non sappiamo – finito Carosello, alle ore ventuno di mandare a letto i/le bambini/e.

Immaginate questo scenario rispetto ad oggi, quando i/le bambini/e e i più grandi non vanno certamente a letto alle ventuno e comunque, quando ci vanno, portano con sé il “feticcio”, che continuano a consultare fino all’ultimo momento prima di dormire e riprendono a consultarlo non appena si svegliano. Insomma, una vera schiavitù della quale non si accorgono. Ma questo non è colpa della pubblicità, bensì dell’enorme ignoranza che si diffonde giorno dopo giorno e che non fa capire la realtà.

I manager, scrivevamo prima, sono coloro che orientano la pubblicità e quindi per le loro delicate funzioni diventano i guidatori delle imprese se sanno adoperare bene il motore e tutti gli altri organi.
Diventare conduttori non è facile perché non è come prendere la patente per la guida delle automobili o dei camion; ci vuole grande preparazione, pazienza, impegno, sudore, olio di gomito e altro.
Più volte siamo intervenuti sulla conduzione aziendale e più volte abbiamo ricordato che anche il settore pubblico è formato da aziende, che contrariamente a quelle private, non hanno scopo di lucro, ma sempre aziende sono.

Perciò esse vanno guidate con la più efficiente organizzazione, per la verità una materia poco insegnata nelle università italiane, per cui molti/e giovani laureati/e nei settori relativi, quando conseguono il titolo magistrale e vanno nel mondo del lavoro, sono spaesati/e e devono intraprendere una strada con grandissima buona volontà.

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