Vista da Roma, la Sicilia deve essere senz’altro diversa rispetto al viverla dal di dentro. Nel caso del ministro Musumeci e delle recenti dichiarazioni rilasciate sulle dinamiche che muovono le cose isolane, clientelismo su tutti, viene da chiedersi però se sia tutto riconducibile a una questione di prospettiva e latitudini o se invece a entrare in gioco non sia stata anche una certa difficoltà – non rara tra i politici, a dire il vero – nell’usare lo stesso metro di giudizio nel valutare quel che riguarda gli altri e ciò che tocca in prima persona.
In genere capita quando chi sta all’opposizione commenta l’operato di chi governa, sottolineando puntualmente come le cose sarebbero migliori se soltanto le elezioni fossero andate diversamente. Capita, però, che i distinguo si facciano anche all’interno della stessa area politica. “Vedo in giro tanta ipocrisia, la Regione Siciliana è fondata sul sistema clientelare e sul consociativismo parlamentare”, ha detto il ministro il 16 novembre citando Giuseppe Alessi, primo presidente della Regione. Parole pronunciate a commento dell’indagine che ha coinvolto l’ex governatore Totò Cuffaro e il parlamentare nazionale Saverio Romano, accusati di avere condizionato alcuni appalti. Musumeci ha aggiunto: “Il problema è capire se si accetta questo sistema e si diventa complici o se invece ti metti di traverso e allora ti isolano e diventi divisivo, diventi un problema”.
Clientelismo in Sicilia, dove si posiziona Musumeci?
Pensieri condivisibili ma che hanno spinto molti a chiedersi: dove si posiziona Musumeci? O per essere più precisi: qual è la valutazione che l’attuale esponente del governo Meloni dà al quinquennio che, tra il 2017 e il 2022, lo ha visto sedere a Palazzo d’Orleans? La risposta, la sa il diretto interessato. Un dato però è indiscutibile: la Sicilia prima, dopo, ma anche durante il governo Musumeci è stata attraversata da inchieste giudiziarie che a vario titolo hanno tirato in ballo esponenti della maggioranza di governo.
Le inchieste nel periodo in cui era presidente della Regione siciliana Musumeci
Senza pretesa di esaustività, d’altronde la ricorrenza con cui la politica e la pubblica amministrazione finiscono all’attenzione delle procure è così elevata che il rischio di perdersi qualcosa per strada è alto, ecco dunque un elenco delle faccende che nel corso dell’era Musumeci hanno lanciato ombre sull’operato del governo e dei piani alti della burocrazia regionale.
Rinvio a giudizio di Ruggero Razza
La vicenda più eclatante, per il clamore mediatico che ha avuto, è senz’altro quella che ha visto rinviato a giudizio per falso Ruggero Razza, oggi eurodeputato di Fratelli d’Italia e all’epoca assessore alla Salute, all’epoca dell’emergenza Covid. Razza, nel 2021, venne accusato insieme a dirigenti e funzionari regionali di aver manipolato la comunicazione dei dati sui contagi per evitare, secondo l’accusa, che la Sicilia diventasse zona rossa. Oggi il processo è fermo in primo grado.
Le mazzette al Genio civile di Catania
Alla fine dello stesso anno, invece, il tema degli appalti fu al centro dell’inchiesta della procura di Catania sulle mazzette che circolavano al Genio civile. In cambio delle tangenti ci si poteva garantire l’affidamento di appalti milionari. La finanza arrestò l’allora capo dell’ufficio, Natale Zuccarello, e il suo braccio destro e con loro alcuni degli imprenditori che avevano pagato. Altri finirono invischiati nel momento in cui Zuccarello iniziò a rivelare alcuni retroscena. Vicende nuove che gli furono utili per ottenere il patteggiamento e che tirarono in ballo anche Gaetano Galvagno.
All’epoca uno dei settanta deputati dell’Ars, Galvagno venne indagato per corruzione in quanto, secondo Zuccarello, in casa propria avrebbe organizzato un incontro nel corso del quale un suo imprenditore consegnò nelle mani del capo del Genio 6500 euro come contropartita per gli appalti ricevuti su pressioni dello stesso politico. La storia poi si concluse con l’archiviazione per l’impossibilità di stabilire dove stesse la verità.
L’inchiesta Gomme lisce
A febbraio 2022, invece, fu la volta dell’inchiesta Gomme lisce sulle irregolarità nelle procedure portate avanti dall’Ast, la società totalmente in mano alla Regione che si occupa di trasporti interurbani. La finanza accese i riflettori tanto sugli appalti che sulle procedure di selezione del personale, ravvisando – a proposito di clientelismo – scelte “influenzate da logiche di natura politica piuttosto che dalle effettive necessità aziendali”.
Le nomine allo Iacp di Palermo
Si è concluso soltanto un mese fa, con l’assoluzione in primo grado, la storia giudiziaria sulle nomine allo Iacp di Palermo in cui sono stati coinvolti gli eurodeputati Marco Falcone e Giuseppe Milazzo. Quando l’indagine partì Falcone era assessore della giunta Musumeci e Milazzo esponente di maggioranza all’Ars. È esploso quando già Musumeci aveva lasciato Palermo per Roma, ma i fatti al vaglio dei giudici riguardano gli anni in cui l’attuale ministro era presidente della Regione, l’indagine sulla Società Interporti Siciliani che ha visto il coinvolgimento dello stesso Falcone – assessore sia con Musumeci che con Schifani, prima di volare a Bruxelles – e di Gaetano Armao, attuale presidente della commissione tecnica specialistica che si occupa delle valutazioni ambientali ma nella precedente legislatura assessore all’Economia. I due esponenti del governo Musumeci sono accusati di avere fatto pressioni indebiti sui vertici della società.
Incarichi all’interno della sanità
Altra vicenda di cui si è avuta notizia a stagione di Schifani già iniziata ma che ha al centro azioni illecite che sarebbero state commesse negli anni del precedente governo è quella che ha interessato, oltre al già citato Razza, anche un altro dei politici su cui Musumeci ripose la fiducia necessaria per essere nominati assessore: Antonio Scavone. Razza è a processo a Catania per presunte interferenze nelle selezioni per l’affidamento di incarichi all’interno della sanità. Scavone è stato prosciolto nell’udienza preliminare perché il fatto non sussiste.
Scandalo Mazzetta Sicula
Spostando l’attenzione a un altro settore delicato, come quello dei rifiuti, negli anni di Musumeci – nello specifico il 2020 – in Sicilia è scoppiato lo scandalo Mazzetta Sicula, che portò all’arresto, a cui è seguito la condanna in primo grado, dei proprietari della discarica di Lentini, quella su cui per anni la Regione si è rivolta per lo smaltimento dei rifiuti. A essere coinvolti furono anche dipendenti pubblici indotti dalle tangenti pagate dagli imprenditori a chiudere un occhio.
Di portata forse ancora maggiore è ciò che era accaduto l’anno precedente, con la scoperta da parte della Direzione investigativa antimafia dei rapporti illeciti che legavano l’imprenditore Vito Nicastri – morto da assolto dall’accusa di essere braccio imprenditoriale di Matteo Messina Denaro –, l’ex parlamentare di Forza Italia poi avvicinatosi alla Lega Paolo Arata e funzionari della Regione. Nel mirino di Nicastri e Arata c’erano le autorizzazioni da ottenere per investire su rinnovabili e biometano.
Il “caso Cannes”
Ed è sempre nel pieno dell’epoca musumeciana che – come emerso dalle carte dell’inchiesta dei mesi scorsi su Fratelli d’Italia, e nello specifico Galvagno e l’assessora Elvira Amata – mette le radici la storia che lega la Regione alla società lussemburghese Abosulte Blue di Patrick Nassogne. Noto come “Caso Cannes” ha al centro la spesa che l’assessorato regionale al Turismo ha fatto per garantire visibilità alla Regione. Esborsi milionari assegnati con affidamento diretto. L’indagine penale che ha coinvolto formalmente alcuni dirigenti regionali è stata archiviata, mentre al momento indaga la procura della Corte dei conti. In quella storia, secondo la guardia di finanza iniziata nel 2021, quando assessore era Manlio Messina (non indagato) entra in gioco anche Sabrina De Capitani, all’epoca in rapporti con Nassogne e che un anno dopo sarebbe diventata portavoce di Galvagno, e con quest’ultimo indagata per corruzione.
Quanto, forse, basta per avere la sensazione che in Sicilia passano i governi, ma l’andazzo generale – campanilismi ed egocentrismi a parte – rimane lo stesso.
Da Palazzo d’Orleans a quello dei Normanni stessa musica: grane anche per i presidenti Ars
Il recente terremoto che ha portato alla revoca da parte di Schifani degli incarichi agli assessori Dc, le indagini sugli esponenti della giunta Musumeci, le fortissime interferenze nella legislatura Crocetta da parte di Antonello Montante, risalendo fino alle grane giudiziarie dai finali diversi – il primo assolto dall’accusa di concorso esterno, il secondo condannato per favoreggiamento all a mafia – che misero fine anticipatamente ai governi Lombardo e Cuffaro.
Se si volesse scaricare tutto sulla scaramanzia, si potrebbe dire che stare dalle parti di Palazzo d’Orleans non porti tanto bene. Le cose, tuttavia, non vanno tanto meglio anche per molti tra quelli che si trovano a essere investiti della carica di onorevole ottenendo la possibilità di sedere a Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea regionale siciliana.
Anche in questo caso il ragionamento serve a rimarcare come, per quanto il ministro Musumeci abbia sempre tenuto – a ragione – la propria estraneità dall’inchieste giudiziarie, ciò che si è registrato all’Ars in questi anni non è molto diverso da una legislatura all’altra. Riepilogare la mole di accuse – dal voto di scambio alla corruzione, fino ai rapporti con esponenti mafiosi – che le procure di mezza Sicilia hanno rivolto ai deputati richiederebbe molto spazio.
Per questo basta sottolineare come a finire sotto la lente dei magistrati sono stati anche gli ultimi due presidenti dell’Assemblea: Gianfranco Miccichè e Gaetano Galvagno. Chiamati a rispondere – il primo è stato già rinviato a giudizio, il secondo attende di saperlo se dovrà comparire davanti ai giudici – di vicende simili.
Sia Miccichè che Galvagno, infatti, sono stati accusati di peculato per avere utilizzato in maniera non conforme ai regolamenti le auto blu. Per il primo l’accusa si è arricchita, sul piano mediatico, delle ombre circa i viaggi che il proprio autista avrebbe fatto per acquistare cocaina. Il secondo, invece, avrebbe fatto sì che sul mezzo viaggiassero amici e parenti, anche in propria assenza, al punto da trasformare l’auto di rappresentanza del presidente in una sorta di taxi.
Per Galvagno, al momento, l’accusa è anche di corruzione. La procura di Palermo sostiene infatti che il delfino del presidente del Senato Ignazio La Russa, papabile candidato alla presidenza della Regione fino al momento dell’indagine, abbia utilizzato il proprio ruolo per assegnare finanziamenti a favore di soggetti che avrebbero poi a loro volta procurato utilità a persone a lui vicine.
Vicende che, ancor prima della rilevanza penale, pongono pesanti interrogativi sul modo di intendere e gestire il potere. Ma che non hanno in alcun modo scalfito la fiducia di Musumeci verso il collega di partito. “Al presidente dell’Assemblea siciliana ho detto di continuare a lavorare con la stessa serenità e con la stessa autorevolezza con cui ha lavorato finora. Non abbiamo scheletri nell’armadio”.

