Non ho l’abitudine di citarmi, ma datemene il permesso, almeno una volta. Questo è l’editoriale numero 4.000, il primo è uscito nel dicembre del 1979, quarant’anni fa.
Nel corso dei quattro decenni, sono stati commentati i fatti accaduti nel nostro Paese, nel mondo e nella nostra Isola, tentando sempre, talvolta anche non riuscendovi, di esporre in modo semplice e lineare, nel tentativo di favorire una facile comprensione dei contenuti.
Spero di avere tracciato idealmente un filo rappresentato dal metodo, che è stato una costante sul binario dritto dell’informazione completa e obiettiva.
In questi quarant’anni, ho cercato di passare dalla fase del commento a quella del suggerimento di soluzioni, soprattutto riguardanti la nostra Isola, che ha tutto quello che le serve per entrare nella Top ten delle regioni europee, mentre oggi si trova al 237° posto su 263 nella classifica della competitività: un vero sacrilegio.
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Di chi è la responsabilità? Di tre soggetti pubblici: il Ceto politico, il Ceto burocratico e la Classe dirigente. A essi incombeva (e incombe) il dovere di guidare la Regione per farla approdare in siti adeguati al suo status, che è quello di un’antica tradizione socio-culturale di millenni e di una posizione geografica al centro del Mediterraneo, che è stato (ed è) il mare di collegamento fra i continenti europeo e africano.
La Sicilia avrebbe dovuto intercettare i traffici mercantili che “sbucano” dallo Stretto di Suez. Avrebbe potuto farlo solo se fosse stato costruito il Ponte sullo Stretto in uno alle infrastrutture per la percorrenza dei treni ad alta capacità, in modo da fare trasferire le merci arrivate dall’Oriente verso l’Europa.
Tali strutture mancano in Sicilia e non collegano lo Stretto con Salerno, ove inizia la rete ad alta capacità esistente.
I traffici mercantili avrebbero fortemente potenziato i porti dell’Isola, quello di Gioia Tauro, nonché gli altri dell’alto Tirreno come Livorno e Genova e dell’alto Adriatico come Trieste. Ma anche lì occorrevano (e occorrono) le infrastrutture per i treni ad alta capacità, da Trieste per l’Europa orientale e da Genova in direzione Europa centrale.
L’altro asse su cui la Sicilia avrebbe dovuto puntare è quello del turismo, in modo da sfruttare tutte le ricchezze paesaggistiche, archeologiche, marine, montane e altre che non hanno concorrenza al mondo. Ma per far questo occorrevano (e occorrono) strutture per i treni veloci, strade e autostrade di livello europeo, servizi di accoglienza eccellenti, corredati da ulteriori servizi accessori quali trasporti su gomma, guide, interpreti e via elencando.
Soprattutto la Regione, capofila delle iniziative promozionali, dovrebbe attrarre il turismo congressuale e convegnistico, nonché quello scolastico, cosa che non fa.
Un terzo asse importante è l’agricoltura innovativa, che ha trovato un particolare sviluppo nel settore enograstronomico e nel vino, che è diventata una bevanda eccellente e apprezzata in tutto il mondo, anche se ancora non ha avuto lo sviluppo necessario sul piano quantitativo. Lo scorso anno sono state prodotte circa 80 milioni di bottiglie, ma il Veneto, che da solo riesce a rappresentare un terzo di tutto l’export nazionale, è lontano anni luce.
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Vi è poi l’attività dei servizi tecnologici avanzati. Il polo di Catania della Stm continua a crescere anche perché ha indirizzato ricerca e produzione verso il settore dell’auto elettrica, il futuro della mobilità.
Non vanno, invece, le attività gestite da Regione ed Enti locali, concentrati su se stessi e carenti di piani di medio e lungo periodo cui destinare risorse umane e finanziarie per lo sviluppo complessivo della popolazione. Si assiste, invece, a un continuo retrocedere dello stato economico e sociale dell’Isola, con l’aumento di disoccupazione e povertà, cui contribuisce una sempre minore qualità dei servizi pubblici.
I 3.999 editoriali non hanno mai avuto la veste del rimprovero nei confronti di nessuno, bensì hanno rilevato ciò che non andava e ciò che si sarebbe dovuto (e si dovrebbe) fare. Pertanto non crediamo di meritare le antipatie e le inimicizie di cui siamo stati fatti segno.
Questo non è l’ultimo della serie, perché ve ne sono ancora tanti altri da scrivere, almeno lo speriamo.
Buona lettura!
