La Sicilia non cresce, perciò si spopola, soprattutto dei giovani più bravi che vanno in giro per il mondo a trovare il lavoro consono alle loro competenze, acquisite all’Università e anche nel mercato. Così sembra, ma in effetti è vero il contrario e cioè che la Sicilia si spopola perché non cresce. Infatti, se i giovani trovassero nell’Isola le opportunità di lavoro che si trovano in giro per il mondo non avrebbero alcuna ragione di andarsene perché comunque ogni persona ha un certo radicamento con il luogo dove è nato.
La popolazione siciliana è scesa, negli ultimi cinque anni, da 5 milioni di persone agli attuali 4 milioni 790 mila (al 31 marzo 2022), con una perdita di circa 200 mila cittadini.
Il maggior danno di questo spopolamento è che rimangono i più anziani, molti dei quali non sono produttivi e quindi non costituiscono quella parte dell’esercito che dovrebbe contribuire alla crescita socio-economica della popolazione. Inoltre è diffuso un senso di acquiescienza alla negatività.
Si tratta di una condizione mentale atavica, proveniente dalle numerose invasioni che l’Isola ha subìto nel corso dei secoli e che hanno lasciato tracce evidenti di malfunzionamento dei meccanismi istituzionali.
Nel popolo siciliano è malauguratamente inculcato il culto del favore, secondo cui tutto deve camminare in base a un “do ut des” che ovviamente pregiudica la crescita e lo sviluppo di un Popolo.
Scuola e Università non contribuiscono al cambio di mentalità dei siciliani e lo testimonia il basso numero di laureati rispetto al Nord Italia e alla media europea.
Non che i laureati sappiano lavorare – perché manca il raccordo con le imprese come invece accade nei Paesi europei più avanzati -, tuttavia non è giustificato tale meccanismo perché comunque l’Università spinge verso l’alto.
Altra conseguenza è la mancanza di spirito di impresa, cioè l’iniziativa che ognuno dovrebbe avere per progettare il proprio futuro e agire di conseguenza.
Tutto questo non può essere frutto di improvvisazione, ma di conoscenze, di ciò che è accaduto nel mondo, in questi secoli, e conoscenze di ciò che altri stanno facendo, crescendo vertiginosamente soprattutto nel campo dell’innovazione e dell’intelligenza artificiale (I.A.).
Chi ha la responsabilità di far crescere la popolazione, di creare opportunità competitive a livello mondiale e quindi di trattenere qui i giovani che sono il futuro dell’Isola? La risposta è palese: i responsabili delle istituzioni e la sottoposta burocrazia, che ha il compito fondamentale di eseguire e realizzare l’indirizzo politico.
E chi ha la responsabilità di scegliere i migliori rappresentanti abilitati e capaci di gestire le istituzioni? I cittadini.
Com’è chiaro, i meccanisimi sono sempre gli stessi e quando si inceppano la responsabilità è di coloro che invece dovrebbero farli funzionare.
La questione è quasi elementare e non viene vista da coloro che tengono gli occhi chiusi colpevolmente per il loro egoismo e per la loro incapacità di fare e fare bene.
Non è facile programmare un cambio di mentalità nei prossimi anni e nei prossimi decenni perché in atto non vi sono le premesse.
Quali sono queste premesse? Ve ne elenchiamo alcune. Cominciare a diffondere la mentalità che sostituisca il culto del favore con il culto del dovere e, in subordine a quest’ultimo, il diritto. Insomma, cominciare a pensare, da parte di tutti, che prima viene il dovere e poi si può reclamare il diritto.
Il dovere di lavorare bene, con impegno, da un canto, e il dovere dei datori di lavoro di remunerare adeguatamente i propri dipendenti, pagando putualmente i contributi e le imposte.
Il dovere di tutti i pubblici dipendenti di rispettare, con disciplina e onore, il proprio lavoro e il proprio datore di lavoro, che è il Popolo.
Ancora, acquisire sempre più competenze mediante una formazione continua, che renda competitiva una persona ovunque lavori e qualunque attività svolga e, per conseguenza, portare ai primi gradini il merito, vale a dire la capacità, la bravura e la forza di realizzare o di adempiere il proprio compito.
è vero: vi sono tanti bisognosi di assistenza, ma non c’è assistenza senza una buona organizzazione della struttura che deve prestarla. Con merito e responsabilità.

