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La storia italiana raccontata dal basso

La storia italiana raccontata dal basso

La Grande Guerra scritta dalle persone e dalle cose e vicende reali e quotidiane

Dal QdS del 19/11/2025

“Emilio Lussu: il Carso, l’Altopiano e il Piave che non ha mai raccontato” è un libro bellissimo anche perché è il frutto maturo di un grande impegno, tre anni di lavoro, di ricerca appassionata ma scientificamente rigorosa, che rappresenta il culmine dell’opera di documentazione condotta da decenni da Aluisini e Dal Molin, i quali hanno fatto approfondite ricerche sulla Grande Guerra, nelle biblioteche ma anche negli archivi di uffici pubblici e militari, battendo il territorio e dando vita ad archivi foto-bibliografici privati di grande pregio ed importanza. È storia dal basso, alla Braudel, scritta dalle persone e dalle cose e vicende reali e quotidiane. E questo la rende più vera, senza mai cedere alla retorica e al “grandiosismo” (Luigi Zoja) delle narrazioni e dei documenti ufficiali:

“L’Istituto Italiano di Cultura, che ha sede a Parigi di fronte all’Ambasciata, è forse il più importante, certamente il più bello tra questi enti italiani sparsi per il mondo. Passato l’arco d’ingresso, si incontra una targa con il Bollettino della Vittoria del 4 novembre 1918 firmato da Armando Diaz. È un “falso resoconto (che) non venne mai messo in discussione dai militari né dai giornalisti (…) . Nel giro di un paio d’anni esso trapassò senza soluzione di continuità nella glorificazione fascista della guerra”(M. Thompson, The White War, Life and Death on the Italian Front 1915-1918 (2008) traduzione italiana La guerra bianca. Vita e morte sul fronte italiano 1915-1918, Il Saggiatore, Milano 2009, pagg. 385). Falso dal principio, dove afferma che l’Italia iniziò la guerra “inferiore per numero e per mezzi” (era abissalmente superiore) alla fine, in cui pretende di aver sconfitto “uno dei più potenti eserciti del mondo” (quella austriaca era la più debole fra le armate in campo già a inizio guerra; nel novembre 1918 era ridotta a una colonna di sbandati). Una lapide spaccona è già un disturbo in patria; ma a Parigi potrebbe leggerla un visitatore con sottobraccio i testi di storici francesi come Bled, Bérenger, Fejtö, Michel, che la contraddicono completamente. L’Italia fu tenuta lontana dalla verità contenuta non solo nei documenti, ma anche nei romanzi. Addio alle armi, in capolavoro in parte autobiografico di Hemingway sulla guerra, fu vietato in Italia e pubblicato solo nel 1948”. (Luigi Zoja, narrare l’Italia, Bollati Boringhieri 2024).

Secondo Luigi Zoja, ancora nell’opera citata: “Ecco le armate in campo nelle principali Battaglie dell’Isonzo, centro del conflitto italo-austriaco. Maggio-giugno 1917, decima battaglia: 32 divisioni italiane contro 16 e mezza imperiali; undicesima, agosto-settembre: 55 e mezza italiane contro 20 e mezza, poi 29 austriache. Anche flotta e aviazione asburgiche erano la metà di quelle avversarie. Fino a questo punto, in undici devastanti attacchi gli italiani non erano sostanzialmente avanzati, malgrado avessero mantenuto una schiacciante superiorità dall’inizio della guerra: nel complesso, erano 10 contro 4 per numero di uomini, con un vantaggio ancora superiore nei mezzi, in particolare nell’artiglieria. La dodicesima è nota come Battaglia di Caporetto”.

Dopo due anni e mezzo di guerra, dolorosissima e feroce, ma quasi statica nelle trincee, in soli quattro giorni Cadorna aveva perso più di metà del Veneto. Cadorna addossò la responsabilità di questo crollo alla vigliaccheria dei fanti italiani (bollettino di guerra 887, 28 ottobre 1917). Ma sono proprio queste storie dal basso, queste storie vere che permettono agli autori di parlare di eroi e di comportamenti eroici ed umanamente commoventi senza mai cadere nella retorica.

continua…