La tragica morte di Francesco Valdiserri: “È un’epoca maledetta, la giovinezza, scorre fra le dita” - QdS

La tragica morte di Francesco Valdiserri: “È un’epoca maledetta, la giovinezza, scorre fra le dita”

redazione

La tragica morte di Francesco Valdiserri: “È un’epoca maledetta, la giovinezza, scorre fra le dita”

giovedì 27 Ottobre 2022

È un’epoca maledetta la giovinezza, scorre fra le dita, e nel tempo di una sniffata, è finita, e si cade nel baratro dell’età adulta

Caro Direttore,

Vorrei condividere alcune riflessioni partendo da un tragico episodio recentemente avvenuto.

Francesco. Un nome come un altro da dare a un figlio. Una serie di lettere, una firma su un documento. Francesco. Una macchia di sangue sul marciapiede. Nella notte fra martedì e mercoledì scorsi, Francesco Valdiserri, diciottenne, figlio di noti giornalisti romani (ma avrebbero potuto essere operai, ferrovieri, qualunque altra cosa, che importa?), se n’è andato. Volato via, spinto e ucciso dall’auto guidata da una ragazza sua quasi coetanea. Suona così banale, in tempi in cui i quotidiani riportano tanto spesso di suicidi di adolescenti, di malessere emotivo, depressione e rabbia; lo sfociare del senso d’impotenza è più di qualche volta, silenziato dall’uso di sostanze, con la successiva falsa seppure reale, sensazione di onnipotenza e immortalità.

Perché la giovinezza è sempre stata sinonimo di potenza in molti casi. E oggi, dopo i lunghi giorni di isolamento forzato e l’attuale percezione di un non-futuro, alla luce di questo presente così amaro, l’importante è arrivare, farlo di corsa, non perdersi neanche un istante, sciogliendosi nell’ottundimento dei sensi che annullano il dolore di quei molti, sempre di più, che a volte non riescono nemmeno a chiedere aiuto, e di quei pochi, sempre di più, vittime inermi. Noi genitori stiamo a guardare, pregando che non succeda a uno di noi, soffocando la giovinezza di attenzione e raccomandazioni, che a volte non bastano; la follia onnipotente è padrona di tante giovani vite, e se le mangia. Nessuno sconto.

Suicidi o certi di essere infrangibili. Eterni. Questi nostri figli che fino all’altro ieri erano in fasce, in salvo, fra le nostre braccia. Ma Francesco non voleva morire, non era depresso, voleva vivere e suonare. E tornare a casa per chiamare mamma. Camminava, banalmente, su un marciapiede, come tanti ragazzi della sua età fanno la sera, tornando a casa, dopo avere passato del tempo con gli amici. Si era divertito, stava vivendo. E in un attimo è scomparso. È morto. Morto! Si usa troppo poco questa parola; ci sono tante espressioni per dirlo, “è andato via”, “è andato in cielo”, “non c’è più”,

No maledizione ragazzi, Francesco è morto ed è stato ucciso da qualcuno, giovane come lui, che non doveva essere in quel posto in quelle condizioni. Pronunciamola questa parola: Morte! Gridiamola se necessario, se può salvare qualcuno di voi, farvi riflettere, impedire di mettervi al volante! La morte esiste, non è una cosa lontana che non vi riguarda, e un giorno fra tanto tempo, forse toccherà anche a voi. La morte è in ogni bicchiere di troppo, in ogni pasticca, in ogni motore stridente, di macchine troppo grandi e troppo veloci che guidate, è in ogni sballo, in ogni decisione che prendete, che prendiamo, quando alterati. E non c’è ritorno! La morte è definitiva. È buio, freddo, niente.

Francesco poteva essere Patrizio, Elena, Giulia. Poteva essere chiunque dei nostri figli. E la sua assassina? Questa giovane si era già cancellata fra droga e alcool, era scomparsa nel suo involucro dai riflessi estremamente rallentati, e guidava nella sua folle corsa notturna, per arrivare. Ecco la chiave, la folle corsa che permea i giorni, rende tutto fugace: il divertimento come lo sballo, l’atto sessuale consumato fra le auto in sosta, il quotidiano da prendere a morsi perché se non lo fai potrebbe sfuggirti, in una vita che va veloce e vale quanto lo spazio di una corsa in auto. È un’epoca maledetta la giovinezza, scorre fra le dita, e nel tempo di una sniffata, è finita, e si cade nel baratro dell’età adulta. L’incubo di assomigliare ai genitori, la paura insostenibile di diventare i propri stessi genitori. Il dolore di avere sprecato le vere occasioni e, qualche volta, l’orrore della consapevolezza di essere stati carnefici.

Ci sono tanti Francesco, e ci sono tanti coetanei incoscienti al volante. Non c’è differenza fra loro, solo il modo di essere giovani, di divertirsi e rispettare la vita, ché di quella ce n’è una sola. Nei genitori resta un buco al posto del cuore, e da quel momento l’aria che serve per vivere diventa veleno, finché dura, fino all’ultimo maledetto, disperato respiro. Sul marciapiede, una macchia di sangue.

Bianca Casale
Catania

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