L’altra faccia dell’emergenza Coronavirus “A rischio i progressi nella lotta all’infarto” - QdS

L’altra faccia dell’emergenza Coronavirus “A rischio i progressi nella lotta all’infarto”

redazione

L’altra faccia dell’emergenza Coronavirus “A rischio i progressi nella lotta all’infarto”

mercoledì 20 Maggio 2020

L’allarme lanciato dalla Società italiana di cardiologia: “Anche in questo periodo fondamentale non abbassare la guardia”

in collaborazione con ITALPRESS

ROMA – “L’attenzione della sanità su Covid-19 e la paura del contagio rischiano di vanificare i risultati ottenuti in Italia con le terapie più innovative per l’infarto e gli sforzi per la prevenzione degli ultimi venti anni. L’organizzazione degli ospedali e del 118 in questa fase è stata dedicata quasi esclusivamente al Covid-19 e molti reparti cardiologici sono stati utilizzati per i malati infettivi. Inoltre, per timore del contagio i pazienti ritardano l’accesso al pronto soccorso e arrivano in ospedale in condizioni sempre più gravi, spesso con complicazioni aritmiche o funzionali, che rendono molto meno efficaci le terapie che hanno dimostrato di essere salvavita come l’angioplastica primaria. Se questa tendenza dovesse persistere e a rete cardiologica non sarà ripristinata, ora che è passata questa prima fase di emergenza, avremo più morti per infarto che di Covid-19”.

È questo il grido d’allarme della Società italiana di cardiologia (Sic), lanciato dal suo presidente Ciro Indolfi, ordinario di Cardiologia Università Magna Graecia di Catanzaro, a seguito di uno studio multicentrico nazionale, condotto in 54 ospedali, per valutare i pazienti acuti ricoverati nelle Unità di terapia intensiva coronarica (Utic), nella settimana 12/19 marzo, durante la pandemia di Covid-19, confrontandola con quella dello stesso periodo dello scorso anno.

“Il nostro studio – ha aggiunto Carmen Spaccarotella, co-autrice della ricerca – durante il periodo Covid ha registrato una mortalità tre volte maggiore rispetto allo stesso periodo del 2019, passando al 13,7% dal 4,1 %. Un aumento dovuto nella maggior parte dei casi a un infarto non trattato o trattato tardivamente. Infatti, il tempo tra l’inizio dei sintomi e la riapertura della coronaria durante il periodo Covid è aumentato del 39%. Questo ritardo è spesso fatale perché nel trattamento dell’infarto il tempo è un fattore cruciale. L’età media di questi pazienti è stata di 65 anni”.

“All’aumento della mortalità – ha sottolineato Salvatore De Rosa, coautore dello studio – è associata una sorprendente riduzione dei ricoveri per infarto superiore al 60%. Il calo più evidente ha riguardato gli infarti con occlusione parziale della coronaria, ma è stato osservato anche in ben il 26,5% dei pazienti con una forma più grave d’infarto. La riduzione dei ricoveri per infarto è stata maggiore nelle donne rispetto agli uomini e non solo i pazienti con infarto si sono ricoverati meno ma quelli che lo hanno fatto si sono ricoverati più tardi”.

Nonostante la pandemia Covid-19 si sia concentrata nel Nord Italia, la riduzione dei ricoveri per infarto è stata registrata in modo omogeneo in tutto il Paese: Nord e Sud 52,1% e 59,3% al Centro. “Questo dato – ha osservato Pasquale Perrone Filardi, presidente eletto Sic – ci colpisce, perché mentre al Nord era logico attendersi una riduzione dei ricoveri, al Sud, dove la percentuale dei contagi è stata significativamente più bassa, la paura di accedere ai servizi sanitari risulta meno coerente in quanto i letti erano disponibili e rimasti non utilizzati”.

“Una riduzione simile a quella dei ricoveri per infarto – ha aggiunto – è stata registrata anche per lo scompenso cardiaco, con un calo del 47% nel periodo Covid rispetto al precedente anno. La riduzione dei ricoveri per scompenso cardiaco è stata simile tra gli uomini e le donne. Una riduzione sostanziale dei ricoveri è stata osservata anche per la fibrillazione atriale con una diminuzione di oltre il 53 % rispetto alla settimana equivalente del 2019, così come è stata registrata una riduzione del 29,4% di ricoveri per malfunzione di pacemaker, defibrillatori impiantabili e per embolia polmonare”.

“Siamo molto preoccupati per questi dati – ha sottolineato Indolfi – perché mentre al momento lo sforzo maggiore è ancora ovviamente concentrato sul Covid-19, i grandi risultati ottenuti in termini di sopravvivenza negli ultimi 20 anni, grazie alle innovative terapie per l’infarto e alle campagne di informazione e prevenzione, sembrano oggi vanificati da una mortalità che si è triplicata. È necessario ora ricostruire la rete dell’emergenza per tutte le patologie cardiovascolari tempo-dipendenti, ripristinare i letti e gli ambulatori di cardiologia utilizzati in questo periodo per Covid-19 e soprattutto non sottovalutare i sintomi, come ad esempio il dolore di tipo costrittivo al petto o difficoltà respiratorie e rivolgersi subito al 118”.

“È anche fondamentale – ha concluso – non abbassare mai la guardia e, anzi, aumentare l’attenzione sulle malattie cardiovascolari responsabili di circa 260.000 decessi ogni anno”.

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