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Laura Boldrini (Pd): “Collaborazione tra donne fa bene al Paese”

Laura Boldrini (Pd): “Collaborazione tra donne fa bene al Paese”
Laura Boldrini

Laura Boldrini è la firmataria del Ddl originario sul consenso di recente approvato all’unanimità a Montecitorio

Laura Boldrini, ex presidente della Camera, deputata del Partito democratico e presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo, è la firmataria del Ddl originario sul consenso, poi rielaborato grazie all’intesa tra Governo e opposizione e di recente approvato all’unanimità a Montecitorio. L’abbiamo intervistata per approfondire queste novità legislative e capire cosa può fare la politica per educare la società al consenso.

All’alba del 25 novembre abbiamo assistito a una grande convergenza politica per la legge che introduce il consenso come fattore determinante nel reato di violenza sessuale. Com’è stato possibile incontrarsi tra latitudini politiche così distanti?
“Per me è stata una grande soddisfazione perché questo traguardo nasce da una proposta di legge a mia prima firma. Tutto è stato possibile grazie a un lavoro di squadra tra donne. E grazie al fatto che c’è stata un’interlocuzione tra la segretaria del Partito democratico Elly Schlein e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Il confronto di merito sulla formulazione del testo tra le due relatrici, Michela Di Biase del Pd e Carolina Varchi di Fratelli d’Italia ha poi chiuso il cerchio. Così si è raggiunto un testo che conservava il principio del consenso: per me era questo l’obiettivo. Sono convinta che la collaborazione tra donne di diversi schieramenti politici fa bene al nostro Paese, perché lo porta avanti. Perché quando c’è da combattere la violenza contro le donne, essere avversarie non conta più. E abbiamo visto che unite, si va dritte alla meta, come hanno fatto in passato altre nostre colleghe. Ricordo che si arrivò a definire la violenza sessuale un reato contro la persona (e non più contro la morale e l’ordine della famiglia, così com’era prima del 1996 con il Codice Rocco nda) proprio grazie al lavoro delle donne provenienti da tutti gli schieramenti politici: da Tina Lagostena Bassi, che fu promotrice di quel provvedimento, passando da Anna Finocchiaro fino alla deputata Alessandra Mussolini: avversarie politiche che fecero una battaglia congiunta. Quello fu un passaggio determinante, così come lo è quello che abbiamo fatto noi. Con questo principio, ogni atto sessuale senza il consenso della donna è stupro e il consenso deve essere esplicito, deve perdurare per tutto il periodo dell’atto sessuale e può essere revocato in ogni momento. L’unione tra donne di tutti gli schieramenti politici ha dato la risposta giusta alla campagna di fake news che ha fatto credere alle persone che per avere rapporti sessuali consensuali bisognerà firmare un contratto, un modulo: non è così! Questa è becera disinformazione: non si deve firmare nulla. L’unica cosa che serve è un sì. Libero, esplicito e attuale”.

Quali risultati si aspetta da questa modifica storica?
“È proprio un cambio di paradigma: non sarà più la donna a dover dimostrare di aver reagito con la forza, di aver opposto resistenza, di aver gridato. Ci sono montagne di studi che dimostrano che la paura può paralizzare, immobilizzare, non consentire a chi subisce una aggressione sessuale di reagire. Eppure sono state tante, troppe le sentenze secondo cui la donna che non aveva reagito veniva ritenuta consenziente. Il fatto di non opporsi si chiama paura, paralisi e a volte anche incapacità di intendere quando la vittima, per esempio, ha assunto droghe datele magari proprio dallo stesso stupratore. Quello non è consenso: il consenso deve essere dato volontariamente, deve essere la libera manifestazione della volontà della persona. Nei tribunali sarà chi ha aggredito a dover dimostrare il consenso. Vorrei ricordare Franca Viola, il cui stupro risale al 1965, perché dalla sua scelta siamo arrivate alla legge sul consenso. Lei rifiutò un matrimonio ‘riparatore’ a seguito di uno stupro e disse ‘Io non sono proprietà di nessuno’. Da quel momento si è aperta la strada che oggi ci ha portato a questo risultato, che si basa sull’autodeterminazione della donna”.

Questa legge si inserisce all’interno del piano di rafforzamento della repressione del fenomeno. Serve, però, un lavoro culturale ed educativo per andare fino alla radice del problema: su questo non c’è ancora una convergenza politica. Come mai?
“Noi non pretendiamo con questo provvedimento di aver risolto il tema della violenza degli uomini sulle donne. Perché ci sono radici culturali profonde e per rimuoverle ci vuole un grande lavoro di formazione, di educazione al rispetto, al consenso, all’affettività e alla sessualità. Un lavoro che va fatto fin dai primi anni di scuola. Il Ddl Valditara invece impedisce che si faccia questo lavoro nei primi anni di scuola e impone il consenso informato dei genitori per le scuole medie e superiori. Questo penalizza quei ragazzi e ragazze i cui genitori decidono di escluderli da questo apprendimento e qui si crea una disuguaglianza. Non si chiede alla famiglia se è d’accordo per l’insegnamento di letteratura o arte. E non dovrebbe farsi neanche per l’educazione affettiva e sessuale che è un tassello essenziale della formazione. Perché se non lo fa la scuola, i giovani lo faranno da soli con strumenti sicuramente peggiori trovati in rete, basati sulla pornografia e sulla mercificazione del corpo delle donne.

Crede ci sia un terreno fertile in questo momento per poter superare queste divisioni con la maggioranza di Governo?
“C’è stato un dibattito in Aula e la maggioranza non ha minimamente interloquito con noi dell’opposizione. Alcune loro posizioni erano oscurantiste e ideologiche. Il ministro Valditara è venuto in Aula con un atteggiamento arrogante: ci ha insultato e poi se n’è andato. Io spero ci possa essere un loro ripensamento e una qualche convergenza, ma visto quanto accaduto non posso che essere scettica”. (gb)