Molti gli uomini che lavorano nell’ambito del lavoro domestico in Sicilia, un settore che ha prodotto, nel 2024, in termini di prodotto interno lordo, ben 731 milioni di euro. I dati sono quelli dell’Istat, elaborati dalla fondazione Leone Moressa e Domina, l’Associazione nazionale famiglie datori di lavoro domestico, e mostrano come l’Isola si trovi all’ottavo posto, tra le venti regioni, per valore assoluto del Pil domestico nazionale, che si concretizza nel 4,6% del totale, proporzionale al peso demografico siciliano. Sul PIL regionale, invece, il settore, incide per lo 0,8%, stesso valore di regioni più industrializzate come Lombardia ed Emilia-Romagna. In totale, le famiglie datori di lavoro in Sicilia sono 40.611, su un totale nazionale di 917.929. I lavoratori assunti in tutta la penisola, invece, sono 834mila.
Lavoro domestico in Sicilia, sempre più uomini: il quadro per provincia
Se il settore è caratterizzato da una forte presenza femminile, pari all’88,6%, in Sicilia si registra la maggiore presenza di uomini, in particolare a Palermo, dove i lavoratori di sesso maschile sono il 28%; a Messina, al 27%; e a Catania, al 22%. Se si guarda allo storico, dopo il boom di regolarizzazioni del periodo pandemico del 2020, e una riduzione piuttosto importante nel periodo subito successivo, il lavoro domestico sembra aver trovato in Italia un nuova stabilità, mentre in Sicilia, tra il primo semestre del 2022 e il primo semestre del 2023 continuava a segnare una riduzione dei contributi versati del 7,9%. L’irregolarità rimane comunque un problema generalizzato.
Secondo le stime di Domina, oggi il lavoro domestico coinvolge oltre 3,3 milioni di persone in tutta Italia, tra lavoratori e famiglie datori di lavoro. I censiti ufficialmente dall’Inps, però, sono soltanto 1,7 milioni, con un tasso di irregolarità che nel settore raggiunge il 47,1%. Tra i regolari, pari a 834mila, oltre alla amplissima presenza delle donne, si registra anche una larga maggioranza di stranieri, pari al 69%. Il gruppo più rappresentato resta quello proveniente dall’Est Europa, al 35,7%, ma cresce il numero di lavoratori da Georgia, Perù ed El Salvador, mentre si riduce quello da Romania, Moldavia e Bangladesh. Interessante, comunque, l’aumento della componente italiana, oggi al 31,1% del totale.
La spesa delle famiglie
Dal lato delle famiglie datori di lavoro, si registra una contrazione: sono 917.929, circa 60mila in meno rispetto al 2023, con una riduzione percentuale del 6,1%. Le regioni con il maggior numero di datori restano Lombardia e Lazio, mentre il profilo medio è ancora a prevalenza femminile, al 58%, e con bassa incidenza straniera, appena il 5%. Il peso economico del settore è tutt’altro che trascurabile. Le famiglie italiane spendono complessivamente 13 miliardi di euro all’anno per i lavoratori domestici: 7,6 miliardi per quelli regolari e 5,4 per quelli irregolari. Una spesa che, se da un lato rappresenta un onere per i bilanci familiari, dall’altro genera un risparmio stimato di 6 miliardi per lo Stato, che altrimenti dovrebbe farsi carico dell’assistenza in strutture per migliaia di anziani.
Lavoro domestico, un “indotto importante”
I miliardi investiti, inoltre, producono effetti moltiplicatori sull’economia. “Non solo grazie alle famiglie datoriali si riesce a sostenere il lavoro di cura”, ha dichiarato Lorenzo Gasparrini, segretario generale di Domina, “ma i 13 miliardi spesi determinano uno stimolo alla produzione quantificabile in quasi 22 miliardi”. In termini di Pil, il lavoro domestico genera da solo 15,8 miliardi di valore aggiunto, circa l’1% del totale, ma se si considera l’intera “care economy”, che include anche il settore sociosanitario e i servizi di cura, si sale a 84,4 miliardi, pari al 4,4% del Pil nazionale. Una cifra che supera nettamente settori come agricoltura, ferma al 2,1%, e la ristorazione, al 4,2%.
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