Lavoro, rapporto Inapp: "In 30 anni il salario medio annuale è diminuito"

Lavoro, il rapporto INAPP 2022: “è boom di contratti precari, salari troppo bassi”

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Lavoro, il rapporto INAPP 2022: “è boom di contratti precari, salari troppo bassi”

Redazione  |
martedì 08 Novembre 2022

Dal Rapporto Inapp 2022, “Contratti atipici aumentati del 34% in 12 anni. Il 10,8% degli occupati è povero. E il welfare non garantisce decenti condizioni di vita”

Nel mercato del lavoro in Italia, è boom di precari: dei nuovi contratti attivati nel 2021 solo il 14,8% era a tempo indeterminato, mentre il tempo determinato riguardava il 69,8% delle nuove attivazioni.

L’11,3% degli occupati ha un part time involontario, cosa che ovviamente si traduce in uno stipendio più basso rispetto a quello di cui avrebbero bisogno.

Nell’insieme il lavoro atipico, cioè tutte le forme di contratto diverse da quello subordinato a tempo indeterminato full time, rappresenta l’83% delle nuove assunzioni con un aumento del 34% negli ultimi 12 anni.

L’8,7% dei lavoratori (subordinati e autonomi) percepisce una retribuzione annua lorda di meno di 10mila euro mentre solo il 26% dichiara redditi annui superiori a 30mila euro, valori molto bassi se comparati con quelli degli altri europei.

Sono questi alcuni dei dati presenti nel “Rapporto Inapp 2022: Lavoro e formazione, l’Italia di fronte alle sfide del futuro“.

Il rapporto Inapp 2022

Le attivazioni di contratti stabili riguardavano il 16,7% dei contratti totali nel 2020 e il 15,2% nel 2019. Nel 2018, prima dell’introduzione del Decreto dignità e della stretta sulle assunzioni a termine, i contratti a tempo indeterminato erano il 14,6% del totale.

Il part time involontario

Il dato risente anche del fatto che i contratti a termine spesso sono di durata molto breve e quindi un singolo lavoratore in un anno ha più attivazioni. Il Rapporto Inapp sottolinea anche come il part time involontario coinvolga l’11,3% dei lavoratori (contro una media Ocse del 3,2%) e come i lavoratori poveri nel 2020 rappresentino il 10,8% del totale.

Il lavoro povero è in crescita secondo le tabelle Eurostat 2021 (dato provvisorio) all’11,7% a fronte dell’8,9% medio dell’Ue a 27.

In Italia il salario medio annuale è diminuito dal 1990 al 2020

L’Italia – sottolinea l’Inapp – è l’unico dell’area Ocse nel quale, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale reale è diminuito (-2,9%) a fronte di aumenti di oltre il 30% in Francia e Germania.

Nell’insieme il lavoro atipico (ovvero tutte quelle forme di contratto diverse dal contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a tempo pieno) rappresenta l’83% delle nuove attivazioni con un aumento del 34% negli ultimi 12 anni.

“La produttività è cresciuta più dei salari”

“La produttività – si legge nel rapporto – è cresciuta più dei salari quindi non solo la sua dinamica è stata contenuta, ma non sembrano nemmeno aver funzionato i meccanismi di aggancio dei livelli salariali alla performance del lavoro”. Secondo lo studio la flessibilità “buona” ha portato a un’occupazione stabile a distanza di tre anni dall’inizio dell’impiego precario per circa il 35/40% dei lavoratori (in tre fasce di tempo considerate a partire dal 2008-2010 fino al 2018-2021) mentre una quota tra il 30% e il 43% ha continuato a svolgere un lavoro precario, il 16-18% ha perso l’impiego ed è in cerca di lavoro mentre sono usciti dal mercato del lavoro il 17% dei precari (nel 2010 era il 3%).

“Quasi il 10% dei lavoratori ha una retribuzione annua lorda di meno di 10mila euro”

“L’8,7% dei lavoratori (subordinati e autonomi) – prosegue il Rapporto – percepisce una retribuzione annua lorda di meno di 10mila euro mentre solo il 26% dichiara redditi annui superiori a 30mila euro, valori molto bassi se comparati con quelli degli altri lavoratori europei. Se consideriamo il 40% dei lavoratori con reddito più basso, il 12% non è in grado di provvedere autonomamente ad una spesa improvvisa, (quindi non ha risparmi o capacità di ottenere credito), il 20% riesce a fronteggiare spese fino a 300 euro e il 28% spese fino a 800 euro. Quasi uno su tre ha dovuto posticipare cure mediche”.

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